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Victoria Christmas Special – More than one kind of Love

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Come nella migliore tradizione di ogni period drama britannico che si rispetti, anche “Victoria” ha abbracciato la consuetudine di celebrare le festività natalizie con il suo primo episodio speciale a tema; come nella migliore tradizione di questa serie, invece, l’episodio si è rivelato anche più intenso, accogliente, totale e familiare di quanto mi aspettassi. Ho definito in ultimo questo speciale natalizio “familiare” non solo per l’ambientazione festiva che ha permesso di riportare in scena tutti i personaggi al momento “attivi” nella serie ma soprattutto per una particolare sensazione che una tappa importante come il primo speciale natalizio riesce a trasmettere, una sensazione di intensa familiarità nei confronti di tutto ciò che circonda questo period drama, avvolto da quei piccoli momenti, come l’attesa del suo ritorno, la curiosità per le storie che verranno narrate o la trepidazione di ritrovare magari un personaggio prediletto o una relazione preferita, che a mio parere arricchiscono l’esperienza di uno spettatore e il percorso di una serie.

I novanta minuti che compongono l’episodio “Comfort and Joy” scorrono con delicatezza, avvolgendoti in un’atmosfera talmente intensa e morbida che a volte sembra quasi possibile percepire l’odore degli alberi che “invadono” il palazzo e il calore che pervade ogni singolo ambiente della dimora reale, in contrasto con la gelida neve che dipinge però all’esterno uno scenario soffice e misterioso al tempo stesso, immerso in una totalizzante e candida sfumatura di bianco. Non intendo esimermi quindi dall’evidenziare quanto le scenografie progettate e realizzate da Michael Howells per l’occasione siano state a mio parere protagoniste preponderanti e indispensabili dell’episodio tanto quanto i personaggi che hanno fatto vivere la storia, squisitamente scritta da Daisy Goodwin.

Nonostante apparentemente l’episodio sembri focalizzarsi principalmente sulle relazioni sentimentali più “classiche” presenti nella serie, credo in realtà che “Comfort and Joy” abbia permesso, come al solito con le sceneggiature della Goodwin, di abbracciare innanzitutto una vasta gamma di sfumature del più comune e universale dei sentimenti, e abbia contemporaneamente presentato un maggiore scavo psicologico e individuale in diversi personaggi che hanno mostrato in questo modo aspetti della caratterizzazione a volte sorprendenti e altre volte rassicuranti nella loro salda conferma.

La sfaccettatura che personalmente più mi ha emozionato dei “diversi tipi di amore” rappresentati nell’episodio è senza ombra di dubbio quella pura, inaspettata e incondizionata vissuta da Victoria & Sarah, la principessa africana rimasta orfana e offerta alla regina come “dono di pace”.

Introdurre nel momento più opportuno, narrativamente parlando, il personaggio di questa bambina così sola e lasciata ai margini di una società che non conosce, ha permesso la caratterizzazione di uno dei volti che più mi colpiscono emotivamente di Victoria, lo stesso che aveva già accennato proprio nel finale della seconda stagione, dopo il forzato addio del suo unico ricordo felice dell’infanzia, la baronessa Lehzen. Ciò che infatti secondo me più accomuna queste due anime provenienti da mondi che non potrebbero essere più distanti e differenti e che paradossalmente invece appaiono istantaneamente simili e vicini è la profonda incomprensione che entrambe provano in rapporto a quella realtà in cui sono immerse, un’incomprensione che va ben oltre la lingua o la cultura ma affonda le sue radici, soprattutto per quanto riguarda Victoria, in tempi in cui la corona era ancora lontana, tempi che a quanto sembra però non sono mai completamente cambiati per lei. Mi lascia sempre una strana sensazione di tristezza infatti notare come, ogni volta che Victoria provi a esprimere l’intensità dell’angoscia e dell’inquietudine che la pervadono soprattutto nel periodo natalizio, nessuno riesca ad ascoltarla o a vederla per davvero, trasmettendomi l’impressione che questa giovane regina sia ancora, a volte, estremamente sola seppure al centro di un mondo che le ruota intorno. L’infanzia trascorsa in solitudine e reclusione a Kensington è un periodo della sua vita che ancora la segna e la definisce profondamente, come un incubo che teme possa ripetersi da un momento all’altro e che in parte forse effettivamente le sembra di rivivere ogniqualvolta i suoi problemi e le sue emozioni passano in secondo piano. La mancanza che Victoria ancora non riesce a colmare e che diventa quasi asfissiante in questo episodio è proprio quella di avere accanto una persona che per una volta la consideri la sua maggiore priorità, ascolti i suoi tormenti, asciughi le sue lacrime e magari cerchi di risanare le sue ferite senza mai considerarle infantili o esagerate.

Questo è ciò che Lehzen era stata per lei a Kensington, un’espressione di puro amore e incondizionata dedizione di cui una bambina sola aveva disperatamente bisogno; questo è ciò che Lord Melbourne era in parte diventato per la giovane donna che non conosceva la vita e che si era ritrovata a dover indossare una corona a volte troppo pesante; e questo è ciò che improvvisamente diventa la piccola Sarah quando entra nella sua vita: il riflesso di tutto ciò che Victoria non ha avuto a quell’età e che adesso vorrebbe donare oltre ogni limite.

Non serve certamente il migliore degli psicologi per capire che la reazione di Victoria in questo frangente è certamente derivata dal desiderio di compensare tutte le sue mancanze, di concedere tutto ciò che non lei non aveva ricevuto, di donare a quella bambina una comprensione che a tratti ancora oggi lei non riesce ad ottenere. Ma sorprendentemente ciò che Sarah le restituisce nel breve periodo della loro convivenza è forse ancora più importante e travolgente di quanto Victoria avesse mai potuto immaginare. Credo che la gentilezza, le attenzioni, le cure e fondamentalmente l’amore materno che Victoria profonde nei confronti della bambina le ritornino presto indietro sotto forma di insegnamento e forse anche di crescita personale, di guarigione, di spinta che le permette di rialzarsi ancora una volta con le sue sole forze e di non concedere più al passato di farle male. Nonostante voglia fortemente che il suo affetto basti per Sarah come quello di Lehzen era stato abbastanza per lei, Victoria capisce di doverle dare ancora di più del suo desiderio di compensazione, offrendole ciò di cui Sarah ha davvero bisogno, ossia la persona che lei aveva già scelto come madre, la famiglia a cui sentiva di appartenere. Personalmente credo che in “Comfort and Joy”, Victoria sia luminosa e bellissima nella sua profonda e malinconica onestà, tenace e determinata nella sua solitaria incomprensione e infine matura ed eroica nella sua capacità di andare avanti e di non permettere più ai suoi incubi di definire la vita che merita e la persona che è diventata.

 

“I don’t need a man to tell me what’s right”

Oltre ad evidenziare, con il suo “riflesso”, l’umanità più profonda del personaggio di Victoria, Sarah illumina, portando in scena una delle pagine più oscure della storia e della moralità dell’uomo come la tratta degli schiavi, anche l’esperienza natalizia di Mrs Skerrett, la cui presenza si intreccia sempre di più con quella di Victoria, un aspetto inedito per la serie ma che ha già tutta la mia approvazione, ammirazione e anche speranza di vederlo caratterizzato ancora di più anche nella terza stagione. Il suo ruolo all’interno del Palazzo e soprattutto al servizio personale della regina le permette non soltanto di diventare per Victoria un supporto sempre presente e libero da ogni pregiudizio ma la porta anche a vivere da vicino la storia di Sarah, ad osservare con un posto in prima fila le conseguenze più drammatiche e disumane della condizione di schiavitù, quella stessa condizione che adesso però potrebbe diventare per lei fonte di impensabile ricchezza. Che Nancy non avrebbe mai accettato le condizioni del suo sostanzioso lascito era quasi scontato fin dal principio, nonostante quell’inaspettata eredità rappresentasse la sua migliore e forse unica occasione di stravolgere la sua vita e poter costruire anche un futuro accanto all’uomo che ama, ma, sarà che questa serie riuscirebbe a infondermi spirito natalizio anche ad Agosto, è stato addirittura sorprendentemente emozionante assistere alla conferma di un personaggio che si mostra per l’ennesima volta come una delle portatrici di luce più candide e senza macchia di questa realtà. Mrs Skerrett è, per quanto mi riguarda, è il ritratto di una donna non soltanto intimamente pura, leale e affidabile, ma anche una donna la cui condizione di servitù non intacca neanche per un istante la sua raffinata eleganza nei modi, l’innata generosità incondizionata e soprattutto anche una sicura indipendenza dai tratti squisitamente moderni. Nancy non ha paura di essere la sola a decidere della sua vita e non ha paura di amare tanto e di accettare in cambio l’amore totale di un uomo con cui è disposta anche ad affrontare il rischio di perdere la privilegiata condizione lavorativa che adesso occupa se la relazione divenisse di dominio pubblico.

E restando ancora nella cerchia delle donne che circondano Victoria, degna di nota è anche la presenza di Harriet, che sembrerebbe ormai tornata stabilmente a Palazzo questa volta non come Guardarobiera ma semplicemente nel ruolo a cui più sono legata, ossia quello di compagna fidata di Victoria, un compito che forse può apparire banale ma che in realtà mi sembra di fondamentale importanza per entrambe le donne, consapevoli in questo modo di avere accanto una “via di fuga” sempre presente quando la compagnia a disposizione arriva più come un fastidio che come un piacere. Ma oltre la genuina sintonia con la regina, è innegabile che la storyline di Harriet sia legata a doppio filo con quella di Ernest, un legame che in questo episodio prorompe letteralmente in tutta la sua ruggente e struggente passione.

Dopo aver raggiunto infatti un esorbitante livello di tensione alimentato da rabbia, frustrazione e desiderio, il punto di rottura tra i due innamorati esplode inevitabilmente lasciando senza controllo quel contegno e quelle restrizioni sociali che l’apparenza di quel periodo impone a tutti loro. Il breve momento di passione e intimità condiviso da Harriet & Ernest si carica ai miei occhi di inedite sfumature di caratterizzazione, sia per la serie che ha mostrato per la volta una scena più apertamente sensuale e passionale [anche più “esplicita”, seppure sempre molto contenuta, di quelle tra Victoria & Albert], sia per il personaggio di Harriet che non solo compie il primo passo decisivo in questo contesto ma sembra anche disposta ad accettare un ruolo “segreto” nella vita di Ernest perché sicura dell’amore reciproco, un comportamento che, condivisibile o meno, mostra comunque un lato inesplorato di questo personaggio, un lato che sfugge al “decoro” che spetterebbe a una Duchessa vedova e che la rende meravigliosamente umana. Come umano è però anche il suo cuore spezzato, prima per il rifiuto improvviso e incomprensibile di Ernest, deciso ad allontanarla da sé e dalla sua “vergogna” con ogni mezzo necessario, e dopo per la rivelazione di quella verità che per lei non rappresenterebbe neanche un problema ma che Ernest non accetta categoricamente.

L’amore contrastato quasi da un destino beffardo di Harriet & Ernest non mostra solo l’intraprendenza passionale della Duchessa ma permette anche un focus di già esplorato sui tormenti di Ernest e su quello che appare in questo episodio come un insolito scambio di ruoli e soprattutto di umori tra lui e suo fratello Albert. Solitamente custode silenzioso e premuroso dei sogni, delle speranze e delle fragilità di Albert, a cui ha sempre dedicato la parte migliore di sé anche a costo di nascondergli invece le sofferenze che lo affliggono, assistere in prima persona a quell’idillio familiare che Albert sta vivendo scaturisce in Ernest una reazione “pericolosa” che purtroppo fa riemergere una serie di insoddisfazioni e pene emotive represse troppo a lungo, esasperate adesso da un lieto fine che continua a sfuggirgli dalle mani proprio quando credeva di averlo ormai raggiunto e meritato. Il rapporto tra i due principi di Coburgo è sempre stata una delle componenti che più apprezzo della caratterizzazione di entrambi e per questo motivo ho avvertito particolarmente “forte”, emotivamente parlando, il cinico confronto in cui Ernest distrugge quell’illusione natalizia a cui Albert si aggrappava disperatamente, facendo cadere quel sipario che separava i ricordi di Albert dall’effettiva realtà, lasciandolo indietro quasi come un bambino indifeso che rifiuta di vedere la verità della storia per non essere ferito. Ma l’amore vero che lega i due fratelli li riporta facilmente sul giusto percorso, permettendo questa volta ad Albert di assumere l’inedito ruolo di “fratello maggiore” e di diventare il supporto di cui Ernest adesso ha bisogno.


Questo mi spinge dunque ad analizzare anche il ruolo di Albert in questo episodio, essendo infatti il Principe consorte un personaggio che ancora mi suscita opinioni contrastanti. Da una parte infatti, vedere Albert quasi “posseduto” dallo spirito del Natale, di Santa Claus e di tutti gli elfi del Polo Nord, così entusiasta ed elettrizzato dalla festività e dal desiderio di renderlo assolutamente perfetto e impeccabile per i suoi figli e per tutta la sua famiglia, è stato un aspetto della sua personalità, di solito più cupa e introversa, che ho apprezzato particolarmente, che mi ha fatto sorridere e che mi ha anche spinto a provare empatia nei suoi confronti nel momento in cui le ragioni di quella “follia natalizia” vengono a galla.

Ma dall’altra parte, ricongiungendomi infatti al mio discorso iniziale, non riesco a scacciare l’impressione che a volte le sue convinzioni così forti e caparbie, che riguardino il Natale, la famiglia o la società, lo “accechino” nel rapporto con sua moglie, impedendogli quasi di vedere e capire per davvero i bisogni di Victoria. Mi sembra infatti che, per quanto il suo amore per lei non debba essere messo in discussione al di là dei pareri personali [anche perché la devozione che Victoria gli riserva non lascia davvero spazio per altre ipotesi], Albert non riesca sempre ad interpretare ciò che si cela dietro i comportamenti di Victoria, essendo da sempre più “concreto” e distaccato rispetto a lei, che invece amplifica quelle emozioni che solo in seguito all’incoronazione ha avuto la libertà di provare ed esprimere apertamente. La nostalgia di Lehzen, il rapporto sempre molto conflittuale con sua madre, il rifiuto della richiesta di suo zio Cumberland di restituirgli la collana di diamanti, sono tutti lati del suo carattere che in Victoria hanno ragioni profonde e radicate, ragioni che non sempre Albert riesce a scorgere. Ad ogni modo, complici anche l’atmosfera natalizia e l’incidente sul ghiaccio, Albert e Victoria riescono a tornare sempre l’uno sulla strada dell’altra, e anche se solo con piccole sfumature di comportamento (come il momento in cui scatta in piedi quando Cumberland si presenta inaspettato alla cena a Palazzo), Albert sembra intenzionato a compiere brevi passi nei confronti di Victoria e delle sue necessità.

Come anticipato nell’introduzione però, questo episodio speciale ha davvero lasciato spazio a tutti i personaggi presenti nella storia e non solo ai protagonisti più evidenti. Una delle storyline che infatti ho amato maggiormente di questo speciale coinvolge Lord Alfred e Wilhelmina Coke, legati in un rapporto così profondo e particolare da rappresentare per me la più autentica chiave di lettura di questo episodio.

Wilhelmina è stata per me una vera sorpresa, poiché fin dalla sua prima comparsa ero certa che avrebbe portato un po’ di “trambusto” a Palazzo, rivelandosi invece in seguito un animo puro, leale, saggio nell’accettare la sua posizione senza pretendere mai nulla in cambio per la sua generosità. L’amicizia che ha donato ad Alfred soprattutto dopo la morte di Drummond è stata per il giovane lord un’autentica ancora di salvezza, spingendolo quindi a credere di poter ritrovare la felicità proprio al suo fianco, di poterla amare seppure in maniera diversa da come aveva amato in precedenza. Non vi nego che le future, possibili, conseguenze di questo fidanzamento mi preoccupano [nell’eventualità che Alfred incontri qualcuno che risvegli l’amore che ha provato per Drummond] ma al momento questo rapporto rappresenta una delle evoluzioni più emozionanti di questa storia natalizia.

Una storia, appunto, così ricca di avvenimenti che ha concesso anche alla servitù di celebrare il Natale e di abbracciare quel sentimento di speranza che pervade il Palazzo, coinvolgendo addirittura il cupo e solitamente scorbutico Penge nel sogno di un futuro diverso. La scena del ballo della servitù a cui partecipa anche la famiglia reale è una delle più belle e dolcemente intense dell’episodio, perché ha permesso, per la prima volta, a tutti i personaggi della serie di condividere quell’unico momento dell’anno in cui le loro differenze sociali sembrano annullarsi.

Il finale dell’episodio lascia spazio anche al rapporto più conflittuale della serie, quello tra Victoria e la Duchessa del Kent, sua madre. Già in seguito alla prima gravidanza della regina, avevo espresso il mio dispiacere nell’assistere alla totale degenerazione del legame tra le due donne nonostante tenda personalmente a capire e giustificare le distanze prese da Victoria fin dai primi giorni del suo regno. Ma proprio in virtù della maturità che Victoria dimostra nel corso di questo episodio, il finale dello speciale apre uno spiraglio di speranza anche per questa relazione madre-figlia, rendendo Victoria talmente superiore moralmente da accettare non solo la vicinanza di sua madre ma anche la presenza di suo zio Cumberland.

Non servono dunque altre parole per evidenziare quanto, a mio parere, “Victoria” abbia portato in scena un primo speciale natalizio assolutamente perfetto, equilibrato in tempi e spazi ma soprattutto curato nei minimi dettagli della sua creazione e produzione. Uno straordinario episodio di transizione quindi tra le storie raccontate nella seconda stagione e quelle che ufficialmente ci aspettano nella terza.


Marvel’s Agents of S.H.I.E.L.D. 5×05 – Al mio segnale, scatenate i furetti

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Riconoscere di aver amato ogni singolo istante di questo episodio e di essere rimasta profondamente affascinata dalla rapida evoluzione della storia in un frangente che invece avrebbe – teoricamente – dovuto soltanto ragguagliarci sulle sorti dell’unico personaggio principale scomparso dai radar mi porta ad ammettere ben tre verità oramai innegabili di questa serie e di questa stagione:

  • Dal principio fino ad oggi, “Marvel’s Agents of S.H.I.E.L.D.” è regolato e guidato da una legge costante che nel secondo episodio della serie fu espressa da Skye, all’epoca il personaggio che più aveva bisogno di credere in queste parole, con sorprendente saggezza: “Usually one person doesn’t solve the problem, but 100 people with 1% of the solution that will get it done. I think that’s beautiful, pieces solving a puzzle”. Ho sempre riconosciuto l’essenza dello show in questa frase, ed episodi come quest’ultimo convalidano le mie ragioni: ritrovare finalmente Fitz, assistere al suo devastante bisogno di ricongiungersi con Jemma e con tutti coloro che rappresentano l’unica famiglia che desidera perché lo accettano senza condizioni, ha reso estremamente evidente per me quanto fin dall’inizio questa serie sia fondata su un gruppo, in cui ogni componente è esattamente indispensabile e necessario quanto tutti gli altri, e quando inevitabilmente uno di loro viene meno, come succede ormai in ogni stagione, l’equilibrio vacilla e si avverte [almeno per me è così], anche nel migliore degli episodi, la mancanza di quel singolo 1% che non permette alla soluzione di compiersi, quel pezzo del puzzle che non completa un quadro che raggiunge la sua perfetta armonia solo quando tutte le sue parti sono insieme.

  • Nonostante venga meno quel senso di completezza di cui parlavo precedentemente, quando un membro della squadra viene separato dal gruppo, ottenendo così a un certo punto della storia un necessario focus esclusivo su di sé, la qualità indiscutibile dell’episodio che ne deriva dimostra un aspetto della serie che non tutti gli show possono vantare a mio parere: la tridimensionalità travolgente e affascinante di ogni singolo personaggio principale, capace di reggere perfettamente, ANCHE in uno show costruito su una base corale, un episodio monocentrico senza annoiare ma riuscendo invece a fare sfoggio della sua straordinaria caratterizzazione, mostrando un’ampia gamma cromatica di sfumature della sua complessa personalità [è successo nella terza stagione con Jemma e si è ripetuto in questo caso con Fitz].

  • Per quanto la serie abbia saputo giocare perfettamente la carta dell’ambientazione nello spazio e del futuro apocalittico e distopico, non posso adesso negare quanto, in questi primi quattro episodi, mi sia mancato “tornare” sulla Terra nel tempo presente e soprattutto ritrovare le dinamiche più classiche di questa storia, in un perfetto equilibrio tra azione e mistero inspiegabile. Marvel’s Agents of S.H.I.E.L.D. si è sempre distinto, almeno ai miei occhi, proprio per la sua capacità di giostrare con maestria le sue componenti più differenti, trovando uno straordinario baricentro in un piano che convoglia elementi ordinari e extra-ordinari con coinvolgente armonia, lasciando evolvere tutti questi aspetti contrastanti con complementare progressione.

Ecco perché la sensazione piacevole e sorprendente che principalmente mi ha colpito di questo episodio è stata quella di intima familiarità, come se finalmente, anche se per breve tempo, fossimo tornati a casa, una casa più vuota e solitaria del previsto ma pur sempre casa.

Dal punto di vista della storia, sono rimasta incredibilmente affascinata da tutti i dettagli e le informazioni profuse in un arco di tempo che sembrava quasi “dilatato” all’interno della sua stessa canonica durata. L’episodio non ha mai presentato un momento vuoto, non ha sprecato nessuna scena, nessuna battuta, e non ha mai neanche esagerato con le rivelazioni o con la natura della trama raccontata, l’incredibile punto di forza di questo episodio, infatti, consiste proprio, secondo me, in un equilibrio lineare di ritmo, tempo e spazio, distribuiti con saggia parsimonia tra tutto ciò che avevamo bisogno di sapere e ciò che invece è ancora avvolto nel mistero. Mi ha colpito particolarmente che la sorprendente svolta di questo episodio sia giunta come inaspettata conseguenza di quella storia profetica appartenente alla terza stagione che ho richiamato nelle precedenti recensioni, una storia [e un personaggio] che adesso proietta sulla serie quella stessa sensazione di fatalismo che si respirava proprio in quel periodo, quando un flashforward / visione ci aveva annunciato la dipartita di un membro dello S.H.I.E.L.D.. L’inserimento di personaggi come Enoch e Robin, rispettivamente nei ruoli di “osservatore di mondi e specie” proveniente dal futuro [ho apprezzato molto che, almeno per il momento, Enoch si sia rivelato un alleato e non un nemico] e Veggente, ha permesso non solo di capire le ragioni per cui il team di Coulson è stato scelto per questa missione “forzata” e quelle per cui Fitz invece è stato lasciato indietro, ma ha anche aperto un’inquietante finestra sul futuro, tramite un’ennesima oscura profezia, che diventa adesso un traguardo inevitabile, come questa serie ci ha insegnato, ma al tempo stesso dai risvolti ancora sconosciuti. Inoltre, ben distante dall’ordinario mi appare anche il Generale Hale e qualsiasi sia l’agenzia per cui lavora, un comando il cui obiettivo non prevede alcun tipo di ostacolo e non accetta fallimenti.

Dal punto di vista dei personaggi invece, è stato straordinario assistere alla tridimensionalità di Fitz che riesce, in un solo episodio, a mostrare esattamente tutto ciò che ha vissuto nelle precedenti stagioni, diventando un protagonista assoluto. Dalle sfumature ancora innocenti e pure conosciute nella prima stagione alle problematiche mentali affrontate nella seconda, dalla matura determinazione mostrata nella terza stagione ai sensi di colpa devastanti dovuti agli eventi della quarta, Leopold Fitz è oggi un personaggio a tutto tondo, che non nasconde nessuna delle sue cicatrici ma anzi ne sopporta il peso con accettazione anche quando lo terrorizzano, rivelandosi però nel complesso lo stesso animo buono e generoso che è sempre stato, con il solo obiettivo di ritrovare la sua famiglia e riportarla a casa sana e salva.

Meravigliosa è stata la scelta di non lasciarlo solo in questa missione, riportando al suo fianco forse l’unica persona che in passato è stata in grado di capirlo e di raggiungerlo in quel mondo tutto suo in cui Fitz si era rifugiato chiudendo fuori la realtà oggettiva e il resto della squadra. Lance Hunter rappresenta l’ennesima decisione impeccabile di questo episodio, riprendendo il posto che gli spetta con una tale facilità che sembra quasi non sia mai andato via. La sua caratterizzazione è coerente e precisa in ogni espressione, in ogni frase, in ogni fase del suo assurdo piano di evasione. In un solo episodio, Hunter torna ad essere per Fitz tutto ciò di cui ha bisogno, spingendolo anche ad accettare tutti quei cambiamenti che lo spaventano ma che in realtà non lo definiscono.

Il finale ci lascia la risposta che aspettavamo in seguito alla scioccante conclusione del precedente episodio: l’acquirente misterioso dell’asta di Kasius è effettivamente il “nostro” Fitz, tanto determinato a non voler vivere la sua vita nel presente lontano dalla Jemma e dal resto della squadra da andare volontariamente incontro alla “sorte” di Steve Rogers per un “appuntamento” a cui non intende mancare.

 

In attesa dunque del prossimo episodio che ci mostrerà finalmente il team riunito, vi lascio con la TOP 3 dei momenti migliori di questa puntata:

  • Il ritorno trionfale di Lance Hunter e la reunion con Fitz

  • Fitz rivede lo Zephyr One [e la sua reazione è emozionante, sente profumo di casa]

  • L’addio di Fitz & Hunter prima dell’ibernazione, “don’t die out there, mate” [La prossima volta, pretendo di rivedere anche Bobbi, che sia ben chiaro!]

 

Non dimenticate di passare da queste meravigliose pagine Facebook dedicate a Chloe Bennet e Clark Gregg:

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Clark Gregg Son of Coul

 

Shameless 8×08 – E questo è il motivo per cui Dio ha inventato il Canada

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Dopo una breve settimana di pausa eccoci di nuovo a parlare di “Shameless”.

Credo che ormai arrivati alla 8×08 sia giunto il momento di “rassegnarci” (se avete letto le mie recensioni precedenti sapete cosa significa). Questa ottava stagione è stata nettamente diversa dalle altre, c’è stato un cambio drastico di ritmo e situazioni ed è venuta a mancare parte della verve che aveva fino a ora contraddistintolo show. Il cambiamento non è per forza una nota negativa, anzi queste puntate sono state in generale tutte positive, però è stato difficile per me non notare questo cambio di rotta e vedere come le storyline dei personaggi si siano in un certo senso “alleggerite”. È mancata la componente più drammatica, quella che dava maggiore profondità ai protagonisti, quel qualcosa che rendeva le loro vite sempre sul filo del rasoio. Il motivo di questo cambiamento potrebbe essere il semplice e inesorabile scorrere del tempo: sono dopo tutto passati otto anni e ovviamente tutti i Gallagher sono cresciuti, hanno imparato dagli errori che hanno commesso in passato e si stanno adattando a una vita più tranquilla e ad un percorso più regolare (tutto ovviamente rimanendo legato a ciò che può essere considerato “normale” per la famiglia Gallagher). Serve un po’ di spirito di adattamento.

Questa puntata, pur nella sua leggerezza, è stata assolutamente godibile, e in un certo senso ha dato nuovamente dimostrazione di quell’evoluzione di cui parlavo prima.

Lip ha fino a ora avuto il percorso migliore, forse appunto perché, per emergere dal baratro della scorsa stagione, l’unica soluzione possibile era effettivamente rimettere insieme tutti i pezzi della sua vita e ricostruire tutto con calma. Grazie a Youens e Brad è stato messo in luce quanto fosse per lui indispensabile avere delle figure di riferimento, ma anche quanto fosse sottile il confine tra il prendersi cura degli altri per egoismo e il farlo invece per la loro felicità (come per esempio con Sierra). Questa volta il punto di vista è stato nuovamente spostato, facendoci vedere come invece, per una completa riabilitazione, sia necessario a volte lasciare gli altri ai propri problemi, spezzare il legame distruttivo di co-dipendenza e concentrarsi solo su se stessi. Aggrapparsi ai problemi degli altri può essere solo un altro modo per evitare i propri e certamente ora Lip non ha bisogno di questo. La sua nuova sponsor mi piace parecchio, quindi non vedo l’ora di vederli interagire di nuovo.

Fiona è senza dubbio quella il cui cambiamento mi ha sorpreso maggiormente. Un po’ per le circostanze in cui è cresciuta, un po’ per una serie infinita di decisioni istintive e sbagliate, ha sempre vissuto in uno stato di caos. Ford forse avrebbe dovuto prima farsi un esame di coscienza, ma non gli si può dare torto: Fiona è complicata e credo che le abbia fatto bene sentirselo dire. Questo potrebbe essere un ulteriore stimolo per migliorarsi ancora di più. Ha ancora un forte debito di responsabilità nei confronti dei suoi fratelli (in quanto tutore) ma non mi dispiacerebbe vederla spiccare il volo in solitaria, in una casa sua e con una vita che sia solo sua. Continuo a pensare che la Fiona single sia una benedizione dal cielo, quindi spero che la scoperta delle paternità multiple di Ford le faccia tenere l’ormone al suo posto; vorrei vedere, invece, più interazioni con Nessa: superato il disagio iniziale, ho davvero apprezzato questo personaggio e mi dispiace che sia emerso così poco.

Ian finalmente è riemerso dal buco nero della diatriba della chiesa… well, sort of… perlomeno ha reindirizzato le sue energie in qualcosa di più produttivo. Come sempre “Shameless” ha trattato un argomento delicato come la “conversione” dall’omosessualità in modo leggero e quasi divertente, con quella sorta di battle a suon di versetti della Bibbia. È rimasta in sospeso purtroppo la questione della causa scatenante di questo bisogno di sfogare aggressività contro tutto e tutti – e direi che anche imparare a memoria la Bibbia non gioca a favore dell’ipotesi che un possibile ritorno allo stato maniacale sia del tutto da escludere. Io continuo a credere che ci sia qualcosa di più profondo alla base, ma sembra vogliano fare di tutto per non mostrarcelo.

Frank paradossalmente è uno dei personaggi che sto apprezzando di più in questa stagione, e non pensavo che sarebbe mai potuto succedere. La parentesi di Saint Francis ha effettivamente avuto una ripercussione anche ora che è tornato alle vecchie abitudini. Nonostante abbia abbandonato la via della legalità ha mantenuto parte di quella nuova genuinità e di quello spirito da impiegato del mese, una versione migliorata del vecchio scarafaggio duro a morire e disposto a tutto pur di far fruttare i suoi interessi.

Carl continua (inspiegabilmente) a non avere un posto nel mondo. Debbie non svolge di certo un ruolo più attivo nella trama, ma almeno abbiamo visto un minimo di quella maturazione di cui parlavo all’inizio: ora sa che una gravidanza non può essere contemplata se vuole dare un senso alla sua vita ed è pronta a concentrarsi sulla scuola e sul suo futuro a qualunque costo. Piccole scosse anche nel triangolo russo, visto che Kevin si è, cito testualmente, ripreso le palle e, mi permetto di aggiungere, non solo da Lana ma anche da Veronica; così beota stava diventando troppo ridicolo, persino per i suoi standard. Continuo a ripetere però che Svetlana è la mente del terzetto, quindi mi aspetto che non se ne rimanga zitta e buona a farsi comandare (anche perché, visto il suo talento, sarebbe uno spreco).

Ed ora eccoci arrivati al momento della TOP3:

  • Frank a spasso nei boschi sul confine col Canada che canta Justin Bieber e Celine Dion è una delle cose più belle che io abbia mai visto e sentito.
  • Non lo vorrei vedere con Fiona, ma ciò non mi ha impedito di avere gli occhi a cuore per Ford durante il tour di Chicago; scusate ma l’Architettura è il mio pane quotidiano e una delle mie passioni, per cui quel giro turistico tra le migliori costruzioni della città nel suo periodo di massimo splendore mi ha fatta innamorare.
  • La battaglia tra Ian e il pastore a suon di versetti della Bibbia: tutto al mondo può essere rivisto e reinterpretato e il modo in cui ha tenuto testa a quel bigotto è stato assolutamente fantastico.

Per questa settimana è tutto! Vi lascio con il promo della 8×09 e vi ricordo di passare dalla nostra pagina amica per commentare e restare sempre aggiornati su news e cast.

SHAMELESS US ITALIAN PAGE

Marvel’s Agents of S.H.I.E.L.D. 5×06 – La Nuova Generazione

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Il breve hiatus affrontato dalla serie tra il quinto e il sesto episodio della stagione corrente aveva inevitabilmente alimentato oltremodo le aspettative per questo nuovo atto, sia a causa di una reunion che bramavamo dal principio e che ormai era diventata sempre più necessaria, sia per l’esordio alla regia di colui che adesso potrà essere considerato “Director” sotto tutti i punti di vista, il versatile e sorprendente Clark Gregg. A posteriori dunque, posso finalmente affermare che, per quanto mi riguarda, non soltanto i due aspetti sopracitati dell’episodio hanno ampiamente soddisfatto e superato ogni previsione ma, con l’evoluzione della storia portata in scena questa settimana, la stagione ha abbracciato e mostrato lo straordinario potenziale che finora aveva forse solo accennato e che adesso invece divampa senza fare sconti e segnando un nuovo punto più alto dopo quello raggiunto dal precedente episodio Fitz-centrico.

 

I Bambini del Bus

Protagonisti assoluti e totali di questo episodio sono stati senza ombra di dubbio Daisy Johnson, Jemma Simmons e il ritrovato Leopold Fitz, un focus quello dedicato a questi tre personaggi che in un certo senso potrebbe anche essere considerato un leitmotiv dell’episodio, in cui predominante sembra essere l’idea di una nuova generazione e infatti mai come in questo caso, Daisy, Jemma e Fitz sono stati quasi costretti dalla necessità a dover prendere le redini della loro realtà e a dover compiere, insieme, un decisivo passo in avanti per combattere apertamente il futuro di cui sono prigionieri e cominciare in questo modo a capirne l’effettiva natura e a svelarne i più oscuri retroscena. Privi, quindi, del supporto costante che fin dall’inizio i pilastri del team, ossia Phil Coulson e Melinda May, avevano garantito a coloro che all’epoca erano considerati “i bambini del Bus”, la “nuova generazione” dello S.H.I.E.L.D. si mostra in questo episodio in tutta la sua straordinaria crescita e costante evoluzione, sia individualmente, in una caratterizzazione che appare così inevitabilmente diversa da quella innocente e inesperta con cui li abbiamo conosciuti, sia nei rapporti interpersonali che invece appaiono ancora oggi definiti dalla stessa umana purezza che li contraddistingueva agli esordi, come se tutto ciò che hanno affrontato finora avesse portato questi tre protagonisti a confermare una scelta compiuta al principio, la scelta di ritrovare l’uno negli altri l’unica famiglia e l’unica squadra su cui voler fare affidamento.

Us against the world” – Il rapporto che unisce Daisy & Jemma è da sempre uno degli aspetti che più amo di questo show: l’idea di due giovani donne che “non avevano nulla in comune e non potevano essere più diverse eppure non riuscivano a immaginare la vita l’una senza l’altra” ha definito fin dall’inizio le sfumature delle rispettive caratterizzazioni di due personaggi sulla carta assolutamente antitetici. Jemma & Daisy sono state, con Fitz, i personaggi che più sono cambiati nel corso delle stagioni, tanto che a volte è quasi difficile riconoscerle nelle protagoniste di un tempo. Eppure quando sono insieme, quando si ritrovano ad essere l’ultima linea di difesa [o di attacco] della squadra, queste due donne sorprendenti non solo si mostrano con onestà in tutte quelle differenze originarie, ma riescono anche a superarle e a coniugarle perfettamente per trovare la loro armoniosa complementarità. È alla fine di quelle strade percorse in maniera indipendente e differente che Daisy & Jemma si ritrovano più intimamente simili di quanto potessero immaginare, ma soprattutto unite dalla costante consapevolezza di non essere mai davvero sole nella battaglia.

“Then marry me, Fitz” – “Absolutely” – La storia che unisce Jemma & Fitz è perfettamente uguale e diversa da quella appena descritta per Daisy & Jemma, portando in scena infatti una diversa sfumatura d’amore ma una medesima evoluzione in cui tutto è cambiato e nulla lo è per davvero. Jemma & Fitz sono diventati adulti insieme, sono stati “costretti” a crescere sotto il peso di tutte le avversità affrontate, tutte le “maledizioni” spezzate, tutte le volte in cui hanno creduto di essere ostacolati quasi da una legge cosmica. Il motivo per cui, secondo me, Jemma e Fitz rappresentano quasi un ideale di coppia [e lo dico con sguardo “soggettivamente oggettivo”], nonostante il loro fosse un legame pericolosamente al limite della friendzone, sta proprio nell’evoluzione individuale che i due personaggi hanno affrontato in particolar modo nella seconda stagione, un’evoluzione che li ha condotti in direzioni diametralmente opposte e distanti anni-luce solo per rendere la loro volontà di tornare insieme una convinta decisione e non soltanto una mera e stereotipata conseguenza. Ho sempre creduto che i FitzSimmons abbiano cessato di esistere tempo fa, permettendo a Jemma Simmons & Leo Fitz di prendere forma e di creare in seguito qualcosa di nuovo, un rapporto maturo, realistico e capace ora di affrontare qualsiasi “maledizione” l’universo abbia in serbo per loro.

E infine eccoli lì, di nuovo insieme, i due scienziati inesperti e la giovane hacktivist che diceva “bang” quando premeva il grilletto, mentre si allontanano sempre di più dalle persone che erano e così facendo si ricongiungono inesorabilmente ad esse.

THE SAVIOUR

Un’attenzione particolare è stata concessa in questo episodio anche ad Elena e a ciò che questo personaggio rappresenta. Fin dalla sua prima apparizione, ho sempre creduto che Elena Rodriguez fosse quella parte del team di cui avevo bisogno anche quando ancora lo ignoravo e i piccoli dettagli della sua caratterizzazione così parsimoniosamente arricchita contribuiscono a costruire il ritratto di un personaggio su cui c’è ancora tanto da scoprire nonostante mi sembri di conoscerla da sempre. Il modo in cui fa propria la situazione del giovane Flint, costretto ad affrontare il processo di Terrigenesi solo per diventare, nel caso di trasformazione, un prodotto pronto per essere venduto, dona al personaggio una stabilità nella sua formazione, evidenziando quanto Elena abbia ancora una personalità squisitamente differente e indipendente, quanto sia una donna che porta con orgoglio tutte le sfumature del suo background culturale e personale, una diversità che si amalgama con soddisfacente armonia nel gruppo sempre variegato dello S.H.I.E.L.D.. La sua profonda umanità, la sua accecante sensibilità che compensa la parte di sé più impulsiva e “aggressiva” [tutti aspetti messi in mostra anche nella webseries “Slingshot”] ha portato nuova luce e nuovo spessore al personaggio, ci ha permesso di scrutare un po’ nella sua backstory e personalmente mi ha lasciato una sensazione che descriverei quasi rassicurante, perché quell’istinto di protezione che ha dimostrato nei confronti di Flint irradia l’oscurità che pervade questa realtà apocalittica che stanno vivendo.

LA PECORA NERA

Il ritratto di Kasius e della società che lo circonda ha raggiunto in questo frangente un nuovo livello di rappresentazione, così incredibilmente affascinante nel suo realismo di fondo da lasciarmi ancora una volta meravigliata dal modo in cui questa storia viene “snocciolata” di episodio in episodio, diventando secondo me uno dei punti di forza di questa stagione. La società che Kasius presenta è un perfetto esempio di ricchezza e squallore, di parvenus che alla prima occasione mostrano il loro vero volto, oltre l’illustre apparenza vuota e il potere raggiunto attraverso ogni tipo di attività criminale. Kasius è l’emblema di questo mondo, ipocrita e ambizioso oltremisura tanto da vendere senza esitazioni la sua più fedele alleata Sinara per autocelebrazione e affermazione di sé e del suo ruolo di leader, ma in questo contesto, anche grazie all’influenza di Fitz o meglio del mercenario senza scrupoli che lui crede Fitz sia, Kasius ha mostrato apertamente una debolezza così umana che se riuscisse a interpretarla in questo modo probabilmente si disprezzerebbe proprio come disprezza la realtà che lo circonda. Kasius è profondamente insicuro, spaventato, imbarazzato quasi dalla scarsa considerazione che suo padre ha sempre avuto di lui e desideroso di riscattarsi perennemente ai suoi occhi, non credo neanche per qualche ragione affettiva quanto solo per l’onore e un senso di rivincita che a tratti lo rende quasi “patetico” e debole ma che nel complesso dà vita a un personaggio psicologicamente sfumato e particolare.

TROPPO PRESTO

Sebbene certamente non mi aspettassi l’happy ending per tutti i personaggi coinvolti in questa storia, mi è dispiaciuto particolarmente perdere in un solo episodio e in maniera così brutale i due che più mi avevano colpito e che credevo avessero ancora un promettente potenziale inespresso da liberare. Tess è stata la mia new entry preferita dall’inizio della stagione, era una donna provata e spenta ma che aveva anche avuto il coraggio e la forza di riaccendere in se stessa un briciolo di speranza e moralità in seguito all’arrivo del team dal passato. Il suo rapporto con Coulson mi ricordava molto quello che gli agenti dello S.H.I.E.L.D. più giovani hanno avuto con lui all’inizio di questa avventura, si fidava e in qualche modo vedeva in lui la possibilità di vivere davvero in un mondo migliore ed è ingiusto che non abbia neanche avuto il tempo di realizzare quell’illusione.

Ben invece riuscivo già a immaginarlo benissimo in un futuro con la squadra e soprattutto accanto a Daisy, con cui aveva a mio parere una travolgente chimica istantanea. Ciò che di Ben mi aveva colpito era il contrasto tra le sue parole e le sue azioni, lui che sembrava così rassegnato alla sua condizione di schiavitù e che invece è morto proprio per un atto di coraggio, altruismo e ribellione, un comportamento che onestamente speravo ricevesse una ricompensa migliore.

In conclusione dunque, vi lascio la mia personale TOP 3 dei momenti migliori di un episodio che mi lascia ampiamente soddisfatta ed entusiasta del livello costante di questa serie.

 

  • I duelli May/Ben e soprattutto Daisy/Sinara. Da notare quanto Daisy abbia perfezionato le sue entrate ad effetto!

  • Le proposte di matrimonio di Jemma & Fitz, in particolar modo la seconda, così “classica” e insolita al tempo stesso;

  • Elena salva Flint subito dopo la Terrigenesi;

Vi ricordo infine di passare da queste splendide pagine Facebook dedicate a Clark Gregg e Chloe Bennet:

« Chloe Bennet Italia;

Clark Gregg Son of Coul

 

The Good Doctor 1×11 – Godiamoci un po’ la vita, Shaun!

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The Good Doctor non ritorna, dopo lo hiatus natalizio, con un grandissimo botto, diciamocelo. Aveva creato pathos con il cliffhanger della finale di mezza stagione, che però si è rapidamente sgonfiato, in sostanza perché nessuno (apparentemente) ha assistito al meltdown di Shaun, cosicché “Glassy” (lo chiamerò per sempre così), può cercare di capirci qualcosa risolvere la situazione senza che l’ospedale ne faccia una questione drammatica, che porterebbe necessariamente all’allontanamento di Shaun, se la legge è uguale per tutti, e cioé se l’aggressione fisica è il punto di non ritorno disciplinare, come nel caso di Jared.

In questo modo Shaun può prendersi una meritatissima vacanza non tanto da un lavoro stressante (che gli piace), quanto da una figura paterna che mi trasmette ansia ogni volta che compare. Quando il dottor Glassman è in scena, la vita appare istantaneamente più pesante e tragica. So che ha ottime intenzioni, so che sente una responsabilità assillante nei confronti di Shaun, percepisco la sua reale preoccupazione piena di buonissime intenzioni, senza sottovalutare il fatto che, concretamente, rischia anche lui la carriera (ma questo è secondario, da quel che sembra). È normale però che tanta, chiamiamola apprensione, scateni una ribellione da parte di Shaun, che avverte la spinta a vivere una vita secondo le proprie inclinazioni, come una qualsiasi persona adulta, autismo o non autismo. E il dottor Glassman deve mettersi da parte (almeno un po’) e lasciare che Shaun “trionfi o fallisca da solo”, come gli fa notare il dottor Andrews, che ha ovviamente i suoi interessi in materia.

Shaun deve mettersi alla prova, deve rischiare, deve sbagliare, deve fare tutte quelle cose che nessuno gli ha mai fatto sperimentare e che lui non ha mai creduto di averei il diritto di provare. È chiaro che si deve tener conto che è autistico, ma non per forza tutto quello che gli va male nella vita deve essere ricondotto alla sua sindrome: nessuno sarebbe in grado di guidare un’automobile al primo tentativo e a chiunque può capitare un incidente dovuto all’inesperienza (o ai cattivi insegnanti), ma questo non significa che la patente debba essergli preclusa per sempre (patente qui identificata come simbolo, non questione di principio). Né è pensabile che non possa divertirsi, come tutti. E in questo Leah è la persona giusta che, oltre ad accettarlo per quello che è, ha quella temerarietà un filo irresponsabile che le permette di spronarlo a essere il giovane adulto che è. Lo fa vivere, lo fa divertire, gli fa provare cose nuove, gli dà il permesso di essere se stesso, laddove invece il dottor Glassman è soffocante e oppressivo. Non sto dicendo che vada bene l’approccio spensierato di Leah in toto, perché spesso sembra non tenere esattamente conto del tipo di persona che si trova davanti, cosa che invece richiederebbe un po’ più di cautela in certe occasioni. Si vede la sua inesperienza soprattutto quando lo informa del suo desiderio di trasferirsi: Shaun non sa tollerare bene i cambiamenti e uscirsene da parte sua con una notizia/bomba del genere, chiacchierando del più e del meno a colazione, in una situazione già molto fuori dalla sua zona di comfort, non è per nulla una cosa sensata da fare. Ci vuole equilibrio tra i due estremi.

La seconda questione rimasta in sospeso, quella delle molestie subite da Claire per mano del dottor Coyle che se ne va in giro impunito per l’ospedale, convinto che nessuno oserà toccarlo, si è fatta un po’ più complicata. Non che non fosse nata già ingarbugliata da decifrare, ma in questa puntata la faccenda non si risolve, ma, secondo me, peggiora, per questi motivi:
– il dottor Coyle ha denunciato Jared, per motivi legittimi, decretandone l’allontanamento. Nessuno però si incarica di condannare l’autore delle molestie o semplicemente di indagare il motivo dell’aggressione da lui subita (che non sarebbe assolutamente una giustificazione, ma porterebbe a scoprire e a porre fine al suo comportamento molesto). Perché ora sembra che il problema più grande siano le aggressioni fisiche e/o l’orgoglio maschile ammaccato, quando invece NON è la questione principale?!
– l’intera spiegazione fornita Jared al dottor Coyle “così capisci perché l’ho fatto” non sta proprio in piedi: “Io esco con Claire, tengo a lei, e in più sono stato insensibile perché non le ho dato retta, quindi vado in giro a picchiare la gente, comprendimi”. Big NO. Sono assolutamente d’accordo con il dottor Andrews, questo è un atteggiamento da uomini delle caverne.
– Claire è passata dal ruolo di vittima a quella che, stando così le cose, deve cercare di farsi giustizia da sola. Ovvero, tanto nessuno mi crede, vengo a minacciarti e ottengo che si metta una pezza sul torto. Io sono completamente d’accordo che lei non potesse fare nient’altro che arrangiarsi da sola e stimo la sua forza di reazione e il suo prendere in mano la faccenda. La situazione è purtroppo esattamente questa quasi ovunque. Non dovrebbe andare così, però. Lei, le donne, dovrebbero essere ascoltate, credute e non dovrebbero esserci ripercussioni su di loro. E credo che questo sia esattamente il messaggio che vuole mandare lo show: non dovrebbe essere necessario, molto semplicemente, essere costrette a passare da vittime a carnefici.

Naturalmente, essendo solo la prima di due parti, sono tutte questioni che – immagino – verranno risolte o argomentate meglio la prossima settimana.

Per quanto riguarda “il caso del giorno”, non l’ho trovato particolarmente pregnante e attinente, pur trovando irresistibili le due ragazze, di cui però bisogna capire il destino clinico, quando (se) si sveglieranno, prima di poter fare una riflessione pertinente. In ogni caso è stato utile per far brillare finalmente il talento di Claire, a cui viene riconosciuta una notevole capacità comunicativa e interpersonale. Mi spiace che, per arrivare a questo punto, sia stato necessario che non fossero presenti gli altri due specializzandi (Jared e Shaun), come se fosse una condizione obbligata perché ci si focalizzasse sui meriti di Claire.

Per quanto riguarda la crisi tra Jess e il dottor Melendez, che capitola sul suo desiderio di avere figli, non credo che abbiamo davvero visto la fine del problema. Non penso che lui possa rinunciare a qualcosa di tanto importante e sublimarlo con dei surrogati. Immagino sia convinto di poterlo fare in buona fede, ma non è il modo migliore di iniziare un matrimonio.

I tre momenti top della puntata:

– la scena dolcissima di Shaun alle prese con il suo primo “avvicinamento” romantico e la grande sensibilità da parte di Lea;

– il dialogo intimo e personale tra il dottor Melendez e Claire sui problemi sentimentali di lui;

(Io shippo questi due come se non ci fosse un domani, ve lo dico)

– Shaun che apprezza la tequila. Sono morta!

Vi lascio con il primo della prossima puntata – e seconda parte. A presto!

– Syl

Blindspot | TOP3 del midseason finale e qualche altra cosuccia da rilevare

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La Vigilia di Natale ci ha regalato il mid season finale di “Blindspot” e ovviamente, viste le festività, le abbuffate e la panza strapiena di cibo e vino, c’ho messo un po’ a scrivere il commento a un episodio che ha ha avuto un sacco di cose POSITIVE ma che alla fine, proprio nei suoi due minuti finali (forse meno) mi ha strappato una risata (ISTERICA) per la sua assurdità e per quanto quello a cui abbiamo assistito sia il cliffhanger meno cliffhanger della storia.

Non fraintendetemi, è un bel cliffhanger MA molto telefonato visto che per metà puntata Weller si arrovella e si dilania l’anima sul suo non essere un assassino e, caso vuole, alla fine salta fuori che lui ha ammazzato qualcuno.

Detto questo diciamoci la verità:

1. la ragazza sarà anche la figlia di Jane, ma quest’ultima non sa nemmeno chi sia, e fino a ieri (letteralmente) non si ricordava nemmeno di avere una figlia;

2. Jane è una persona molto RAZIONALE, pertanto mi aspetto che cerchi di capire per quale motivo Weller è arrivato a uccidere questa ragazza, che cerchi di analizzare le cose e magari (se fosse intelligente, ma credo che gli autori le toglieranno questa caratteristica) anche di capire IN CHE MODO TUTTO QUESTO SIA CORRELATO A SUO FRATELLO ROMAN, perché Roman ha sicuramente un ruolo in tutto questo e si aspettava per certo un qualche tipo di risvolto da questa situazione;

3. finalmente Weller non ha più questa spada di Damocle sopra la sua testa legata ai ricatti di Roman, finalmente si è aperto con Jane, ci sarà qualcosa di positivo in tutto questo, no?

Confesso che la puntata è stata davvero molto bella: dinamica, piena di azione e ci ha regalato anche qualche (succoso) dettaglio sui programmi di Roman.

TOP3 di questo episodio

1. Rick.com è davvero superlativo, FA PARTE DEL TEAM, li aiuta, li supporta, li difende ed è davvero GRANDE.

2. Roman e la sua storia (d’amore o non amore, so già che mi distruggerà il cuore): voleva la Hirst fuori dai giochi per tirare in mezzo il grande BOSS, casualmente proprio il padre di Blake, la ragazza che ha corteggiato, di cui ha conquistato la fiducia e il cuore. Mi chiedo, però: ha così tanti agganci questo signore, e non può scavare nel passato di Roman per scoprire che è Roman?!? MMMMMHHH….

C’è da dire che SONO DAVVERO BELLISSIMI.

3. La storia e come ce l’hanno raccontata, niente di fuori posto, è stato un crescendo di azione fino all’epilogo finale. Veramente ben fatta.

In generale vorrei sottolineare anche:

– Patterson che capisce che Tasha si è (finalmente resa conto di essere) innamorata di Raede… NE RIPARLIAMO, miglior frase del giorno, c’è molto di cui discutere e devo essere sincera, magari insieme trovano uno scopo che li valorizzerà, anche se, lo ammetto, in questa stagione mi stanno piacendo entrambi parecchio, spero che continuino la loro strada verso l’uscita dall’inutilità;

– “What’s Her Name” riferito a Tasha sul telefono di Rich.com vince la puntata proprio!

Vi lascio con il promo del prossimo episodio, intitolato “Hot Burning Flames

 

 

 

Shameless 8×09 – Matrimonio in vista in casa Gallagher?

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Fan dei Gallagher bentornati!

E forse sarebbe il caso di dare il bentornato anche ai Gallagher, perché in questa puntata si è respirata di nuovo un po’ dell’atmosfera classica di “Shameless” rispetto alla calma degli scorsi episodi. Come avevo scritto nella scorsa recensione, quest’ottava stagione ha seguito un ritmo decisamente diverso dalle precedenti, ma ormai mancano solo tre appuntamenti al finale, motivo  per cui, se ci deve essere una svolta che metta le basi per uno sviluppo nel prossimo anno, non si può più perdere tempo.

Detto questo però, non posso dire di aver apprezzato tutte le svolte che ci sono state presentate.

Eh lo so, prima mi lamento perché non succede nulla e poi mi lamento perché invece succede qualcosa… ma se avete letto i miei commenti saprete esattamente su quali punti mi trovo a storcere il naso.

Fiona e Ford. Io preferisco la Fiona single, non posso farci niente. Ogni volta che intraprende una relazione questa finisce sempre per rovinare la sua vita e, adesso che è arrivata così lontano, non posso vederla distruggere tutto. Confido che ormai abbia raggiunto una maturità tale da capire cosa vale la pena rischiare e cosa no, e le parole che ha rivolto a Ford sul fatto di avere degli obiettivi nella vita e di non essere un semplice caso complicato mi fanno ben sperare, però… insomma Ford, con tutto il fascino che soggettivamente esercita, ha ancora parecchia strada da fare per conquistarsi la mia fiducia.

Lip e Sierra. Ragazzo mio, ti devi concentrare su te stesso. Io capisco che sia ancora innamorato di Sierra, ma questo casino rischia di minare tutto il lavoro fatto fino a ora, perché lo coinvolge a un livello emotivo evidentemente più profondo. Mi dispiace per Sierra, che non ha certamente avuto una vita facile (considerato anche quanto abbiamo scoperto su suo padre nella scorsa puntata), ma a maggior ragione, appunto per le sue esperienze precedenti, dovrebbe aver imparato quanto la stabilità sia fondamentale. Lei ha bisogno di stabilità per mantenersi a galla tanto quanto Lip. Potrebbero tornare insieme, la cosa non mi dispiacerebbe, ma devono veramente andarci con i piedi di piombo, e forse quest’occasione di estrema fragilità per entrambi non è la base migliore per ricostruire la loro relazione. Non so ancora come prendere l’ultima scena di Lip, se in positivo (perché ha preferito buttarsi sul lavoro piuttosto che sull’alcol), o in negativo (come conferma appunto che il ritorno di fiamma con Sierra non è esattamente salutare). Plus: la ragazza della carrozzeria – di cui ahimè non ricordo il nome – mi piace assai!

Carl e la sanguisuga. Nemmeno mi vada ricordare come si chiami quella sociopatica con cui sta uscendo. Su questa questione mi limiterò a dire che se hanno lasciato Carl in stand-by praticamente per tutta la stagione solo per fargli capitare una catastrofe negli ultimi episodi io inizierò una rivolta. Concordo pienamente con Veronica: la scuola militare è la cosa migliore che gli sia mai capitata. Non cred che basti una ragazzina qualunque a rovinargli la festa, in fondo Carl non è così stupido, ma mi chiedo perché non investire di più su un personaggio che ha dimostrato di avere davvero tanto spazio per crescere e maturare.

Paradossalmente i personaggi che mi stanno piacendo di più sono Frank e Debbie, cosa che mai avrei creduto possibile. Mi fanno morire ad ogni episodio e, nel bene o nel male, sono gli unici costanti nel portare quella verve di eccesso tipica di “Shameless”. Quelli che hanno per protagonista Frank sono diventati i miei momenti preferiti della puntata – lo ammetto: ho venduto l’anima al vecchio Gallagher. Ora che è tornato alla condizione iniziale bisognerà vedere però se mi piacerà ancora… Per quanto riguarda Debbie invece – tralasciando il piccolo dettaglio per cui ogni tanto sembra che tutta la storia della gravidanza le sia piovuta dal cielo senza che nessun tipo di incoraggiamento da parte sua – mi piace come abbia fatto propria l’arte di arrangiarsi tipica dei Gallagher, senza rinunciare però alle proprie responsabilità.

La cosa però di cui sono più felice è che (a differenza ad esempio di Carl) finalmente la storia di Ian sta prendendo un senso. Rimangono ancora molto libere e vaghe le interpretazioni sul perché improvvisamente abbia iniziato ad andare così alla deriva, anche se, ormai l’ho chiarito più e più volte, io credo che sia stata la morte di Monica a far scattare in lui qualcosa; quella che prima era sofferenza può essersi trasformata nel bisogno di aiutare qualcuno in difficoltà e poi nella necessità ancora più impellente di sentirsi parte di qualcosa di più grande. Con questa crociata contro il perbenismo, a favore dell’amore libero e dell’accettazione di sé, Ian ha forse trovato davvero la sua strada. Mi piace questo suo percorso, anche perché Ian è sempre stato molto sicuro delle sue scelte, molto determinato e disposto ad aiutare gli altri; per cui, ship o meno, grazie Trevor per averlo indirizzato su questo nuovo percorso.

E anche sul fronte Kevin – Veronica – Svetlana vedo piccoli cambiamenti che mi stanno piacendo. Kevin continua imperterrito nel suo atteggiamento da maschio alfa, il che è cosa buona e giusta (anche se non dimenticherei che l’Alibi è comunque ancora in piedi grazie a Lana). In questa puntata abbiamo visto Lana toccata nell’orgoglio, meno impenetrabile di quanto ci ha abituato a credere, in un certo senso meno macchina da guerra e più umana. Ridimensionando i vari ruoli questo triangolo potrebbe funzionare, forse sono pronta a scommetterci di nuovo.

E ora la TOP 3:

  • Ian nuovo pilastro della Chiesa gay: come ha detto Trevor a quell’età e in quelle circostanze avrebbe voluto qualcuno come Ian a dirgli che tutto sarebbe andato bene e che non c’era nulla di sbagliato nell’essere se stessi.
  • Frank che stende la bambina con un destro ben assestato e ovviamente il fatto che tenta di scusarsi incolpando la ragazzina per essere troppo fragile; e comunque quell’ombra di rimorso non ci sarebbe stata negli occhi del vecchio Frank.
  • Il mood dominance di Kev: vederlo scattare sull’attenti e gonfiare il petto come un gibbone alfa anche se per cose del tutto insignificanti è uno spettacolo esilarante.

Per questa settimana è tutto! Vi lascio con il promo della 8×09 e vi ricordo di passare dalla nostra pagina amica per commentare e restare sempre aggiornati su news e cast.

SHAMELESS US ITALIAN PAGE

This Is Us 2×11 – Più Psicologo per tutti!

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Carissimi,

torna “This is us” e tornano le LACRIME, TANTE LACRIME, FIUMI DI LACRIME.

Io c’ho messo un po’ a riprendermi, sono sincera. Questa puntata è stata l’epilogo della storia di Kevin, il suo “turning point“, o almeno lo voglio sperare.

In questa puntata Miss Grey ops, Barbara la psicologa (che ansia ragazzi mi ha messo questa donna… con quella faccia così acida e da “gne gne gne”… non so se mi spiego…), ha tirato fuori il peggio di questa famiglia, se si può davvero parlare di peggio, e ce l’ha buttato in faccia, a noi e a loro. E possiamo dirci quello che vogliamo ma ha DANNATAMENTE RAGIONE: i primi figli che a Rebecca vengono in mente sono Randall e, beh, Randall. Ok, anche Kate, di striscio, perché di lei si occupava Jack. Ebbene, e Kevin?

Sicuramente era più facile stare dietro a Randall, molto più facile, ma NON ACCORGERSI DEI BISOGNI DI KEVIN… questo non ha nulla a che fare con le attenzioni date a Randall, vuol dire dare per scontato qualcuno solo perché ci si è fatti un’immagine di lui/lei.

E lo ammetto, mi sono molto immedesimata in Kevin: non basta essere riconosciuti come “indipendenti”, “coraggiosi” per non aver più bisogno di sostegno, affetto… anything else. Tutti hanno bisogno di essere considerati, giorno dopo giorno (o almeno una volta ogni tanto). E mi dispiace Rebecca: il fatto che tu abbia momenti con Kevin non significa che lui se li ricordi. La scena di Kevin che si trova solo in camera, trova gli occhiali del fratello e li porta alla mamma e… trova tutta la Famiglia nel lettone, e per lui non c’è posto. Il mio cuore è esploso dal dolore. Mi ha fatto sinceramente pena. E lui, invece di svegliarla, prende un cuscino, una coperta e si corica sul pavimento. Cioè, SUL PAVIMENTO! Poi Rebecca si sveglia e si adagia vicino a lui: mi dispiace ma NON BASTA. Perché lui potrebbe anche non essersene accorto. Quel momento Rebecca è un tuo momento insieme a lui, non un vostro momento.

E Rebecca lo sa, ha capito, lo ha dato per scontato. E Kevin non esagera, ha ragione quando in apertura dice che era solo questione di tempo prima della sbroccata… e la cosa divertente è che lui si sente anche in colpa per non essere stato presente per la sorella. Fatevi davvero tutti un esame di coscienza perché lui c’era, SEMPRE, voi non vi siete accorti di niente. SHAME ON YOU. (Mi riferisco anche a Toby che dice a Kate che anche loro hanno avuti i loro momentacci, cosa verissima, super vera, ma di fatto si cerca di stare insieme, nel bene e nel male anche con la famiglia).

Devo anche ammettere che ho ODIATO Beth in questo episodio: invece di attaccare Kevin, tacciarlo come il superficiale e ricercatore di attenzioni della famiglia, perché non ti sei fatta due domande sul perché tua figlia si sia nascosta nella sua macchina?!? Magari proprio perfetta non lo sei nemmeno tu. Sì, Kevin è stato pericoloso e irresponsabile (per sé e per gli altri) ma cavoli, vuoi anche cercare di capire come mai si sia comportato così?!? 

E ammetto che anche Randall l’avrei preso a badilate nei denti, lui e il suo “I’m here for you” , quando NO, tu lì non c’eri, non ci sei stato per tutto il tempo prima quindi FUCK YOU, fatti un esame di coscenza. Ma il bello di Randall è che lui se lo fa davvero l’esame di coscienza, e alla fine fa il discorso migliore che si potesse desiderare. CHAPEAU a te, Randall. Vivere insieme a qualcuno non significa percepire o vedere le cose dal suo punto di vista, e ognuno vive le situazioni a suo modo. Quindi NO, Kevin non ricerca costantemente attenzioni, Kevin è stato bistrattato per tutta la sua vita (esagerando ovviamente ma in parte è vero) dai suoi genitori e quindi ha reagito nell’unico modo possibile (per lui), chiudendosi tutto dentro fino a quando è esploso.

MOMENTI DA RICORDARE

  1. Miguel che si paragona al pilota ignoto della Resistenza che non si xxga nessuno TOP proprio. L’abbiamo pensato tutti Miguel, l’abbiamo pensato tutti. Ma, io ti ho rivalutato già dai tempi della prima stagione quindi sei almeno Chewbe per me.
  2. la performance di Mandy Moore è TOP, il suo dolore, tenuto dentro e poi scoppiato era tangibile tirato proprio perché non voleva farlo uscire… CHAPEAU.

Vi lascio con il promo della prossima puntata, intitolata “Clooney“:

Infine, non dimenticatevi di passare da questa meravigliosa pagina per tutte le ultime news sulla serie e i suoi protagonisti:

This is us  – Italia

 


Marvel’s Agents of S.H.I.E.L.D. 5×07 – Sangue Blu

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Marvel’s Agents of S.H.I.E.L.D.” non si ferma e continua a sostenere un ritmo incalzante che occupa perfettamente ogni singolo minuto dell’episodio, non concedendo neanche il tempo di riflettere con calma su un mistero svelato perché si è già passati al successivo. Eppure l’ordine e l’equilibrio con cui la storia sta progredendo non appaiono disorganizzati e confusionari ma impeccabilmente confezionati in spazi e tempi che riescono a dosare risposte, curiosità e dubbi. Un cambio di scenario inevitabile ci viene concesso in questo frangente, spostando la scena dalla schiavizzata colonia supervisionata dai Kree all’infernale superficie terrestre rimanente, custode con buone probabilità dell’effettiva “chiave” di risoluzione dell’intero arco narrativo che sta occupando questa prima parte di stagione. Ma ancora una volta, la straordinaria ricchezza dell’episodio viene espressa da una puntuale caratterizzazione dei protagonisti, apparentemente condannati a non poter proseguire insieme il percorso per ritrovare la strada di casa, subendo infatti costanti separazioni, volontarie o meno. Ma il team S.H.I.E.L.D. non è il solo ad arricchire questa storyline e l’ultimo episodio l’ha reso incredibilmente evidente.

 

A life spent is a life earned” – Mai come in questa puntata, la caratterizzazione della razza dei Kree ha raggiunto uno spessore e una tridimensionalità totalizzanti, rivelando nuovi aspetti dei personaggi presentati finora e confermandone quelli di partenza, trasmettendo così la sensazione di un’evoluzione ma anche di un ricongiungimento col principio.

L’arrivo di suo fratello Faulnak nel piccolo e illusorio regno in cui è stato confinato ha minato profondamente la stabilità di Kasius, portando a galla tutte quelle radicate insicurezze e gli evidenti complessi d’inferiorità che questo “sovrano” esiliato in parte custodisce da sempre e in parte ha accresciuto in seguito alla natura di una personalità completamente differente da quella che la tradizione di famiglia si aspetterebbe. Devo ammettere che, nonostante abbia trovato fin dall’inizio questo personaggio estremamente affascinante, al principio dell’episodio la rappresentazione di Kasius mi è apparsa più debole, patetica e a tratti quasi imbarazzante di quanto non mi sia mai sembrata precedentemente. Il suo estremo estetismo appare ora quasi banale rispetto alla crudele concretezza militare di Faulnak ma a far tremare quasi la sua caratterizzazione è in realtà la scarsa incisività del suo carattere, apparentemente in balia del potere decisionale e del giudizio di altri: di suo fratello, di Sinara, di suo padre che, pur avendolo sempre relegato a “pecora nera” della famiglia tanto da affidargli una missione suicida in battaglia, resta ancora la causa principale delle azioni di Kasius e del suo bisogno disperato di tornare a casa.

Completamente differente ma ugualmente, o forse ancora di più, squallida appare dall’altra parte la personalità di Faulnak, emblema della superbia e della volgare crudeltà dei Kree, portatore di tutti i peggiori “valori” di una razza guerriera e sanguinaria ma accecato probabilmente proprio dalla sua superbia e privo di conseguenza di un’intelligenza superiore che gli permetta di capire le strategie avversarie ma soprattutto di vedere per davvero chi sia effettivamente il suo nemico. Sicuro della sua incontrastata superiorità, Faulnak si crogiola nella convinzione di poter archiviare facilmente la cattura della “Distruttrice di mondi” ma errore ben più grave secondo me è quello di sottovalutare la sua stessa razza, di ignorare le debolezze intrinseche che anche i Kree presentano proprio come gli umani e di “voltare le spalle” all’unica variabile della sua battaglia che non aveva preso in considerazione.

Sinara si rivela sorprendentemente, in questo episodio, il vero motore dell’intera storyline dedicata ai Kree nonché anche l’esempio più evidente dell’evoluzione più intelligente della razza. Finora letale e silenziosa consigliera, Sinara è in realtà la mente e il braccio che guida tutte le azioni di Kasius, prima ancora del suo esilio, quando ne aveva riconosciuto la natura non adatta alla guerra e lo aveva assecondato e protetto nei suoi piani alternativi di conquista del potere. Sinara si è mostrata in questo contesto non solo come straordinaria stratega e quasi imbattibile guerriera ma anche come conoscitrice di caratteri, al punto da saper colpire Maston-Dar quando meno se lo aspetta, affrontare Faulnak senza quasi pronunciar parola ma più di tutto, far emergere in Kasius esattamente la personalità di cui LEI ha bisogno. Ed è grazie a lei infatti che la caratterizzazione di Kasius affronta nell’episodio un percorso di crescita e di riaffermazione di sé. Se inizialmente ho creduto che il loro rapporto fosse in realtà dettato dalla “convenienza”, notando anche la facilità con cui Kasius ha permesso che Sinara affrontasse Daisy in uno scontro che si sarebbe dovuto concludere solo con la morte di una delle due, in questo episodio si è reso evidente quanto non solo le redini di questo legame siano ben salde nelle mani di Sinara ma anche quanto Kasius provi nei suoi confronti una profonda e non del tutto salutare gratitudine, un sentimento che lo spinge ad affermare, forse per la prima volta, un lato di sé sorprendente: violento, impulsivo e frutto anche di un limite di sopportazione che sembra aver raggiunto il suo punto di rottura.

 

“Together or not at all” – Sul fronte S.H.I.E.L.D., l’episodio si è colorato di piccoli momenti portatori di “luce” che hanno dissipato anche solo per brevi istanti il grigiore costante che pervade la realtà in cui i membri del team sono immersi. Impreziosito da riferimenti e citazioni provenienti dal mondo di “Star Wars” e da quello di “Doctor Who”, il tempo dedicato alla squadra mira al raggiungimento di due obiettivi fondamentali: la ricomposizione del gruppo [anche se per un periodo limitato] e il progredire della storia orizzontale di questa stagione, alimentata infatti da piccoli dettagli che potrebbero risultare “innocenti” ai fini delle motivazioni che sostengono l’intero arco narrativo o che potrebbero rivelarsi catartici. La particolarità da questo punto di vista sta nella scoperta, affrontata da Fitz, Jemma e Daisy durante la loro fuga, dell’utilizzo del Gravitonium come supporto gravitazionale della base Kree, una sostanza che ci riporta indietro alla stagione d’esordio della serie e che potrebbe far affondare le radici di questa storia proprio al suo principio.

Sebbene quindi sia ancora affascinante e intrigante seguire il trio Daisy-Jemma-Fitz nella loro missione personale, in fuga dall’arena di Kasius e dalla spietata caccia di Faulnak, messa in pratica da Maston-Dar, è irraggiungibile la sensazione di familiarità che si respira nell’episodio nel momento in cui il team si ricompone e sembra quasi che ognuno di loro riprenda il posto perfetto che gli spetta in un quadro complessivo che adesso appare finalmente più armonioso, seppure ancora mancante di un elemento costitutivo. Anche dal punto di vista della sceneggiatura e della caratterizzazione dei personaggi, questa reunion sembra infondere nuova linfa vitale a protagonisti imprescindibili, come Coulson in primis, che in questi ultimi episodi erano apparsi insolitamente sottotono. Con il ritorno di Daisy infatti, Coulson ricomincia lentamente ad occupare quella posizione di leader naturale che gli appartiene da sempre, si riappropria dell’originalità irresistibile della sua dialettica e ritorna ad essere un punto di riferimento un po’ folle ma mai arrendevole. [e la sfiducia che lui e Daisy condividono per Deke è un guilty pleasure di cui non posso e non voglio fare a meno]

Angosciante e toccante al tempo stesso però si rivela la decisione di Mack e Elena di distaccarsi momentaneamente dal resto del team e restare sulla base per sostenere Flint nella la sua missione di aiutare la restante umanità sfruttando al meglio i poteri inediti di cui dispone. L’evoluzione di Flint è stata piuttosto rapida, inevitabilmente considerati i tempi ancora a disposizione, e il ragazzo sembra aver raccolto il testimone di Tess e di ciò che il suo personaggio significava in questo contesto, ma per quanto da una parte mi spaventi questa ennesima separazione, dall’altra non posso negare di aver apprezzato fin dall’inizio la scelta di Mack & Elena di indossare un po’ istintivamente i panni “genitoriali” nei confronti del giovane Inumano, una presenza inaspettata che ha travolto le loro vite in maniera sorprendente. Credo che Flint rappresenti per entrambi un modo per riscattarsi e compensare le perdite subite in passato, nella speranza però che non si trasformi in un ultimo sacrificio.

Infine, su ciò che resta della superficie terrestre, Melinda May continua a lottare stoicamente contro nemici informi e dai contorni indefiniti, affiancata adesso esclusivamente da Enoch, che ancora una volta sembra rivelarsi davvero un alleato. Ma ciò che ha rappresentato l’effettiva svolta di questo scenario per il momento solo accennato è l’arrivo provvidenziale di un team di salvataggio targato S.H.I.E.L.D. e guidato, a quanto sembra, da un’ormai anziana veggente Robin.

In attesa dunque di ulteriori risposte, io vi lascio anche questa settimana con la TOP 3 dei momenti migliori dell’episodio:

  • Jemma & Fitz abbracciano il defensive mode nei confronti di Daisy quando le colpe di Deke vengono rivelate;

  • Coulson si mette alla guida del Peschereccio sotto gli occhi spaventati di Daisy, Jemma e Fitz;
  • Jemma Simmons lascia libera la feroce Whovian che è in lei facendomi perdere completamente la testa!

Vi ricordo di passare da queste bellissime fan page per restare sempre aggiornati sulle ultima novità riguardanti Clark Gregg e Chloe Bennet:

« Chloe Bennet Italia;

Clark Gregg Son of Coul

The End of the F*** World – Il telefilm che non mi aspettavo di amare dal minuto zero

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Non so assolutamente resistere alle e-mail di Netflix che iniziano con un – apparentemente – neutro: “Abbiamo aggiunto una serie/film/whatever che ti potrebbe piacere”. Mi fanno sentire come se qualcuno mi aspettasse a casa con una tazza di tè caldo in mano e (molti) biscotti al cioccolato e mi indicasse il divano senza pretendere da me una sola parola. E questa mia immagine di felicità domestica ci collega senz’altro al dibattito proposto da Lestblue di Telefilm Addicted (qui), che io ho trovato molto intrigante, e che, per farla breve, possiamo riassumere con: siamo o non siamo in un rapporto di co-dipendenza da Netflix perché abbiamo il culo pesante esso ci accomoda come (re e) regine? (Cit.). Quanto spesso guardiamo serie-tv proposte da Netflix solo perché è più comodo?
Nonostante il re dello streaming non sia ancora riuscito ad avere la mia anima attenzione esclusiva, questa volta ammetto che senza il suo (prezioso) aiuto non mi sarei mai imbattuta in The End of the F*** World e mi sarei persa qualcosa di grandioso. Sì, sono nel gruppo di quelli a cui è piaciuto moltissimo e va a proclamarlo in giro per il (fucking) mondo.

Riconosco che, dalle premesse, non avrei supposto minimamente, nemmeno se mi avessero offerto denaro in contanti, che si trattasse qualcosa che avrei divorato nel giro di mezzo pomeriggio, riguardandolo subito dopo (e apprezzarlo perfino di più), perché TEOTFW (tratto dal fumetto dello stesso titolo di Charles Forsman), è tutto e insieme il suo opposto: è dolcissimo pur essendo, a tratti, molto disturbante, ti porta all’estremo della sopportazione e ti fa sciogliere come una pera cotta per la bellezza che è in grado di evocare, ti prende, ti rivolta e ti infila dentro una girandola emotiva, degna dei migliori roller coaster telefilmici. 

È la storia on the road di due adolescenti emarginati, danneggiati, sofferenti e ribelli, ognuno con una personale modalità di espressione del disagio, due ragazzi che non potrebbero essere più diversi e improbabili nel loro accostamento, e che ce la mettono tutta per farti saltare i nervi  senza curarsi di comportarsi secondo un minimo di senso civile (essendo appunto adolescenti, ma non per questo meno fastidiosi), ma che allo stesso tempo, senza nessun preavviso, sono in grado di farci affezionare a loro con tanta violenza da sorprenderci e renderci pronti a tutto. Vogliamo a tutti i costi vederli liberi e selvaggi in barba alla Legge e a un mondo adulto che li ha prima spinti ai margini e alla fuga, come unica possibilità di sopravvivenza e poi li perseguita, li reprime e li tradisce. Vogliamo aiutarli a fuggire. Vogliamo inventarci degli alibi. Vogliamo correre con loro verso l’oceano. Vogliamo credere che tutto sia possibile, che la rottura con il mondo opprimente sia la soluzione giusta. Forse vediamo in loro quella parte di noi che non si è piegata ai compromessi, che se ne sta annidata in qualche anfratto sempre vivo e mai dimenticato. Quella parte che, con un po’ di ingenuità mista a irresistibile cinismo, sogna ancora di poter costruire un mondo migliore.

 

Del resto come si fa a resistere a una scena di apertura in cui il protagonista, James (Alex Lawther, Black Mirror), se ne esce con un candido “I’m James. I’m 17. And I’m pretty sure I’m a psychopath”? O ti lasci trascinare nella storia e la ami perdutamente, o cambi storia, non ci sono vie di mezzo. James è un ragazzo che ci fa schiantare dal ridere per il suo impeccabile aplomb, e la sua imperturbabilità senza (apparenti) incrinature, che è in realtà solo un meccanismo di difesa, che nasconde la paura di provare emozioni, o forse di non provarne mai più, dopo averle a lungo represse per non far riemergere la sofferenza dovuta al suicidio della madre depressa, a cui ha assistito da bambino. Che cosa può esserci di peggio? Ah, sì, il padre con il terribile senso dell’umorismo.


Alyssa (Jessica Barden, Penny Dreadful) , la sua partner-in-crime, compagna di viaggio alla Thelma e Louise, assomiglia forse di più alla classica ragazzina ribelle, saputella, sprezzante e un po’ snob (anche lei solo in apparenza), che non esita a mostrare al mondo l’esatta sfumatura delle sue taglientissimi opinioni, le sue alzate di sopracciglia e le prese in giro che non risparmia a nessuno, ma che, grazie ai suoi monologhi interiori, scopriamo spaventata, vulnerabile, e profondamente ferita dall’abbandono fisico del padre e quello emotivo della madre, succube del nuovo marito sul filo delle molestie (quanto può essere straziante venire progressivamente esclusa dalla vita di famiglia, al punto che non ci sono foto proprie in mezzo a quelle dei fratellastri?! Ma questi adulti chi li ha allevati? La strega di Hansel e Gretel?!).

   

Sono due personaggi straordinari, che non hanno nessun pudore a mostrarsi per quello che sono e non hanno ancora interiorizzato i freni inibitori tipici del mondo adulto. Ho capito che il viaggio con loro sarebbe stato straordinario sin da quando ho visto Alyssa ponderare la possibilità teorica di potersi innamorare o meno di James, considerandolo solo un disadattato come lei (che non si fida invece di chi si adatta all’ambiente circostante), mentre lui stava al gioco soltanto per poterla successivamente uccidere con agio, visto che il suo unico intento era quello di fare l’upgrade del Piccolo Omicida, e passare dagli animali agli esseri umani. Per quanto spaventosi, i flash di lui che si immagina di ucciderla con il coltello da caccia sono stati esilarantissimi!

Nel corso della storia, nel lungo percorso on the road pieno di prove, ostacoli e impedimenti, imparano a contare sulle proprie forze, sono obbligati a reagire, a difendersi, rubano, ingannano, sopravvivono, si inventano stratagemmi, sanno volgere a proprio vantaggio ogni imprevisto, si imbattono in ogni tipo di esperienza più o meno potenzialmente pericolosa e lo fanno con humor nero, leggerezza, impudenza, scherno, allegria, caparbietà, capacità di leggere le situazioni, lungimiranza, e insieme anche eccessiva ingenuità. Imparano soprattutto che cosa significa, nel profondo, legarsi a un altro essere umano, stabilire una connessione, l’importanza di aprirsi, la fortuna di trovare un compagno di strada, che ci protegge, che arriva a uccidere per noi (per scoprire a sua volta che, via, forse in fondo psicopatico non lo è davvero) e che è con noi, sempre. Che non ci abbandona. L’unico. Imparano a innamorarsi. Alyssa per la prima volta non viene abbandonata. E James torna finalmente a provare emozioni, come vediamo quando deve finire pietosamente il cane investito e non ci riesce, e piange, proprio lui che aveva ucciso animali senza un minimo di rimorso.

 

A far da contorno a una storia surreale, spesso al limite, decisamente iper realistica e un po’ grottesca, ma sempre irriverente, ci sono una serie di personaggi altrettanto strambi e disagiati, alternativamente crudeli, indifferenti o di buon cuore, involontariamente comici, un po’ iper-caricati nelle loro caratteristiche, che ci fanno spesso morire dal ridere, nonostante la serietà mortale degli eventi. Come non citare Frodo-nome-di-battesimo, la guardia del negozio di intimo che offre una mano disinteressata (e un pacchetto di biscotti) ad Alyssa, la poliziotta buona e quella cattiva, una iper sensibile e l’altra iper cinica, con un leggerissimo problema di comunicazione tra loro, il padre disperso che ha il solo pregio di aver accresciuto un falso mito dovuto alla sua mancanza e il temibile orco in carne e ossa. Nel ruolo di aiutanti o antagonisti, obbligano i due protagonisti a ridefinire se stessi e quello in cui credono.

È un telefilm che ha il sapore della fiaba, che ne conserva i punti chiave e talune caratteristiche (come quella di presentare adulti che non sanno prendersi cura dei giovani eroi). È una fiaba di quelle crudeli, quelle che ti fanno crescere e ti mostrano che i cattivi esistono e come fare ad affrontarli. Ma è anche una storia che crea un amore non contaminato, di quelli che rimangono puri nonostante la barbarie intorno e che fanno sognare. Quegli amori che vogliamo proteggere e che speriamo possano librarsi in volo, senza rimanere incatenati a terra.

In ultimo, come non citare la fantastica colonna sonora, che fa da corollario a un prodotto di cui fatico, sinceramente, a trovare difetti. Ci sono sicuramente momenti respingenti, ma ce ne sono molti altri di grande poesia e dolcezza.

  

– Syl

Shameless 8×10 – Il Messia Gay è tra noi

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Bentornati cari addicted!

In questa puntata ammetto di avere avuto occhi solo per Lip. La sua storia è concreta e ha una direzione ben precisa: tutto gira intorno a quel legame di co-dipendenza che lo ha trascinato a fondo nella sua dipendenza e a ricostruire le basi della sua vita. Ha investito tutto per cercare di rimettere insieme i pezzi della sua vita e tra questi cocci rotti ci sono state anche le esperienze tormentate dei suoi mentori, Brad e Youens. Scoprire della morte di Youens è stato un duro colpo, ma realizzare di essere stato uno dei tanti che lo considerava come un padre e che aveva ricevuto da lui tutto il supporto e la comprensione che la sua famiglia non gli aveva mai dato è stato ancora più straziante. L’aiuto e il sostegno che il professore gli aveva mostrato durante l’università e poi la riabilitazione era una prassi comune per Youens e questo ha in un certo senso annullato il senso di quello che Lip credeva di sentirsi in dovere di fare per lui, in nome di un rapporto preferenziale. Le parole della figlia di Youens aiutano a rimettere tutto in prospettiva, ma credo che nel momento in cui Lip si è alzato alla cerimonia funebre qualcosa dentro di lui sia irrimediabilmente cambiato. Non credo che si tratti dei suoi sentimenti per il professore – passata la rabbia, la stima e l’affetto rimarranno – ma di un cambiamento rivolto a se stesso: Youens ha fatto quel che ha fatto perché credeva nelle possibilità di Lip, come in quelle di tanti altri studenti che sono passati dal suo ufficio, certamente poi il rapporto si è evoluto in un’amicizia profonda, ma non era così all’inizio. E con questo duro colpo Lip dovrebbe finalmente realizzare che deve mettere se stesso al centro delle sue attenzioni, che Youens ha visto del grande potenziale in lui, non come figlio o come amico, ma come persona, ed è ora che inizi ad agire per tirare fuori questo diamante dal fango.

Continuo a essere perplessa invece su Ian. È indubbio che il ragazzo abbia (scusate il gioco di parole) una vocazione, ma quella che all’inizio pensavo potesse essere una nuova strada adesso mi sembra un labirinto in cui il ragazzo si sta perdendo. È chiaro che gli piaccia essere d’ispirazione per dei giovani ragazzi che, a differenza sua, non si sono sentiti accettati dalle loro famiglie o dalla società (perché tutto si può dire dei Gallagher, ma mai uno dei suoi fratelli ha rifiutato Ian per la sua omosessualità) e che sia dannatamente bravo in quello che sta facendo, con la sua sicurezza e il suo fascino… ma sembra che si stia lasciando trascinare da un fenomeno che è diventato molto più grande di lui. E conoscendo i suoi trascorsi, questa surreale eccitazione potrebbe portarlo a distaccarsi troppo dalla realtà (come era accaduto anche all’inizio della sua carriera di paramedico). Mi ha fatto piacere vedere che è tornato a confidarsi con Fiona (e, d’altra parte, anche il rapporto tra Fiona e Trevor), ma c’è ancora qualcosa che non mi quadra in tutta questa faccenda. Esagerare e spingere agli eccessi è tipico di “Shameless”, ma quando si tratta di Ian temo sempre che il motivo di fondo sia più complesso e più preoccupante.

Il resto della famiglia non ha suscitato particolare entusiasmo. Per quanto riguarda Fiona, tolto l’intoppo dell’ingratitudine degli inquilini abusivi, la sua vita sta filando liscia e finalmente forse c’è un orizzonte di gioia (e mi riferisco più alla sua indipendenza che a Ford). Debbie continua a essere la real Gallagher della situazione e Frank sta tornando alle vecchie abitudini con uno spirito nuovo. Carl mi sta deludendo, trascinato in questa completa follia del matrimonio, ma la sua fidanzata psicolabile è talmente borderline che mi fa simpatia: lei è “Shameless” all’estrema potenza con un tocco i trash che non guasta mai.

Finalmente, invece, ho rivisto il trio che avevo amato nelle passate stagioni e che sembrava stesse perdendo tutto il suo smalto. Questo era esattamente quello che speravo per Svetlana, Kevin e Veronica, perché sono divertenti a prescindere dal sesso e dalle prese di potere. Lana è troppo intelligente per essere relegata a sguattera del locale e Kev e V sono troppo buoni per trattarla con disprezzo, a prescindere dai loro trascorsi, per cui questa ritrovata armonia in cui i Ball cercano di aiutare Svetlana a fare un matrimonio vantaggioso è senza dubbio una delle note positive di questa puntata.

Ed eccoci arrivati come di consueto alla TOP 3, un momento pieno di pathos e due decisamente più leggeri ma esilaranti:

  • Grandissimo pathos per la scena di Lip al funerale, subissato da altri mille discorsi di ringraziamento uguali al suo: c’erano tanto dolore e tanta rabbia, e il resto è tutto scritto poche righe più sopra – Lip, per me, è IL personaggio di questa stagione.
  • Spostiamoci sulla leggerezza, ma Kevin che tenta di dare consigli a Lana via auricolare su come rimorchiare è impagabile.
  • Non è di sicuro il personaggio che preferisco ma la scena di Cassy che finge il suicidio solo per convincere Carl a sposarla è talmente assurda che mi ha fatto piegare dal ridere.

 

Per questa settimana è tutto! Vi lascio con il promo della 8×11, il penultimo appuntamento della stagione, e vi ricordo di passare dalla nostra pagina amica per commentare e restare sempre aggiornati su news e cast.

SHAMELESS US ITALIAN PAGE

The Good Doctor 1×12 – Una meravigliosa conclusione della premiere di mezza stagione

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La seconda parte della midseason premiere di The Good Doctor è stata molto, molto più intensa e appassionante della precedente e io ne sono molto più che felice! Tutte le qualità che ho iniziato ad amare nel telefilm si sono composte a generare un insieme armonioso, pieno di calore, gioia, dolori, affetto.

La cosa meno prevedibile in assoluto, per me, è stata rendermi conto che il picco emotivo della puntata si è generato e ha girato intorno al caso complicatissimo delle due gemelle siamesi, che la scorsa puntata mi aveva lasciato un po’ meh. Non riuscivo a capire il senso più profondo della trattazione di una dinamica di questo tipo, che all’inizio era stata lasciata un po’ ai margini, senza che si capisse dove voleva andare a parare, non sembrando – a differenza del solito – nemmeno collegata al tema principale dell’episodio. La seconda parte ha invece ripreso i fili della narrazione e li ha riuniti in qualcosa che ha un senso compiuto.

È la prima volta che un caso medico diventa tanto centrale e non posso negare di essermi completamente appassionata alla storia di queste due ragazze incredibilmente vitali e generose, gravate da una sorte che oserei perfino definire beffarda, dopo che già il destino le aveva fatte nascere con un peso non indifferente da affrontare. Confesso che, a un certo punto, ho faticato a tenere il ritmo di “chi sta per morire, chi deve salvare chi, e sono separate o divise ora?!”. Ma la complessità medica un po’ confusa e le soluzioni molto creative e arzigogolate, molto spesso scovate dal geniale Shaun in un momento di particolare ispirazione, non hanno minimamente disturbato, né scalfito, il totale coinvolgimento nelle disavventure delle gemelle, le decisioni sofferte, le scelte umanamente impossibili e il grande amore che le univa. È una vicenda clinica che è stata in grado di portare alla luce diverse questioni emotive importanti, che sono state raccontate, come al solito, con grande delicatezza. Amo soprattutto il modo in cui Claire e il dottor Melendez riescano sempre a trovare il giusto approccio per stabilire un contatto più personale con i loro pazienti, che genera fiducia e affidamento. Nonostante sia una dote riconosciuta a Claire (solo recentemente), anche lui è sempre in grado di trovare un punto di incontro, un modo per essere amichevole senza annullare la distanza dei ruoli.

Ho particolarmente amato il momento in cui Jenny (spero di non sbagliarmi, ché già io ho difficoltà a ricordare i nomi normalmente) viene lasciata qualche minuto da sola nella stanza dalla madre, dopo una sua richiesta, e per la prima volta viene messa a confronto con qualcosa che chi non ha subito una situazione tanto particolare, impara presto a riconoscere, temere e gestire: la solitudine. “I was alone. I felt cold”.
Ed è qui che ho capito il senso del titolo.
In preda alla preoccupazione per la loro vita, nessuno aveva realmente pensato a che cosa volesse dire davvero aver sempre avuto qualcuno su cui contare, qualcuno che, per quante volte possa essere stato irritante al punto da far desiderare la sua assenza, è comunque sempre stato presente, nel bene e nel male. Non aver mai provato la sensazione di essere soli – che, come spiega la madre, è perfino desiderabile, una volta che la sia è conosciuta – è qualcosa su cui non mi ero mai soffermata. È stato un momento prezioso, dove ho imparato qualcosa di nuovo e di importante. Immagino che si tenda a pensare che i gemelli siamesi desiderino a tutti i costi venire staccati e avere una vita autonoma, ma la questione è decisamente molto più complessa. È un tipo di legame di difficile comprensione ed è stato positivo che abbiano trattato anche questo punto di vista.

L’intera vicenda è stata molto più che straziante, soprattutto per la madre, che nella prima puntata si era fatta da parte, per lasciare che le figlie, ormai adulte, prendessero le loro decisioni in autonomia, come erano state educate a fare proprio da lei, mentre in questa occasione è parte attiva e deve scegliere che cosa è bene per le figlie e da chi doversi separare. Non riesco nemmeno a valutare in toto il livello di orrore a cui questa madre si è trovata davanti. Decidere di staccare le macchine a una figlia perché il suo cuore venisse trapiantato nel corpo dell’altra è qualcosa di sovrumano, di indicibile. Mi ha fatto piacere vederla più partecipe nel convincere Katie a non lasciarsi morire con la sorella. Perché se l’autonomia di scelta è sacrosanta, io credo che le ragazze fossero comunque ancora molto giovani e il supporto materno una necessità imprescindibile.

“L’autonomia di scelta” si riallaccia alle vicende personali di Shaun che, a sorpresa, inebriato dalla libertà e dal desiderio e bisogno di gestire la vita come un qualsiasi giovane adulto, senza l’oppressione benintenzionata del dottor Glassman, decide di dare le dimissioni e seguire Lea nel suo trasferimento (generando in Lea stessa un comprensibile nervosismo). Nonostante il fatto che fosse evidente che tutti pensassero che fosse una decisione folle, su cui non aveva riflettutto abbastanza, e troppo impulsiva (guardiamo le facce!), ho apprezzato tantissimo che nessuno abbia tentato di fermarlo.

  

Nessuno ha messo in atto i soliti meccanismi paternalistici in cui chiunque sa che cosa è meglio per la vita di Shaun e glielo deve dire per forza, facendo andar via di testa perfino Gandhi. Lo hanno rispettato. Hanno accolto la sua decisione, non l’hanno messa in discussione, hanno accettato che, per quanto fuori da ogni logica, si trattava pur sempre della sua vita, e lui aveva il diritto di farne quello che voleva.
Grazie all’intervento di Claire, perfino Glassman ha deciso di dimostrare a Shaun che lo rispettava, si fidava di lui. Ha deciso di non ostacolare le sue decisioni, e di lasciarlo libero di compiere i suoi errori, se necessario. E gli ha parlato per la prima volta da adulto ad adulto, esprimendo le sue emozioni, senza dirgli che cosa doveva fare, e arrabbiarsi perché non lo faceva.

Ed è proprio questo atteggiamento a lasciare a Shaun lo spazio di capire che la sua vita, quella che vuole controllare, deve essere completamente sua. E scopre che la sua vita è in quell’ospedale, a fare quello che sa fare al meglio (avendolo dimostrato con idee brillantissime per tutta la puntata) e non dietro a una ragazza di cui si è certamente innamorato, ma che non rappresenta necessariamente un motivo per buttare tutto all’aria. È una decisione presa finalmente non “contro” qualcuno, ma in totale autonomia, contando solo su se stesso, grazie alla semplice – ma importante – riflessione di Claire: “Lea non è l’unica che può renderti felice”. 

Siamo isole, ma abbiamo bisogno di altre isole intorno a noi.

  

Tra il dottor Melendez e Jess, con mio grande rammarico (ehm), le cose si sono messe molto male. A parte gli scherzi (e i miei interessi rivolti altrove), era davvero impossibile che un matrimonio potesse funzionare su quelle basi. Lui avrebbe necessariamente rimpianto la mancata paternità e avrebbe iniziato a provare risentimento contro di lei. C’è voluto grande coraggio da parte di Jess per lasciarlo andare e un grandissimo amore. Possiamo sapere di più di questo personaggio e del suo ruolo nella vita di Glassman?

Sul fronte Jared le cose si sono concluse con (parecchio) amaro in bocca. Nessuno è esente da colpe. L’ospedale non ha agito per razzismo, quanto per un senso di opportunismo, quando ha evitato di punire con mano troppo pesante chi si era macchiato della stessa colpa di Jared ma che, a differenza sua, era una pedina importante dello staff (in grado di far arrivare donazioni). Ma non si trattava certo di razzismo, e ha ragione il dottor Andrews quando dice che aver usato quella minaccia (soprattutto perché non vera) ha significato fare due passi indietro per tutti. La verità è che non ha vinto proprio nessuno.

Tre momenti TOP della puntata:

– il bacio di addio/arrivederci tra Shaun e Lea.

– Tutta la storia delle gemelle, non so scegliere una scena, è stato sempre tutto pieno di amore e straziante al tempo stesso.
– Shaun che posiziona la pallina-ricordo di Lea vicino alla foto del fratello, tra i suoi ricordi preziosi.

Sono davvero felice di questa conclusione dell’episodio doppio, che ho trovato estremamente soddisfacente. Vi lascio con il promo della prossima puntata. A presto!

– Syl

The Flash 4×10 – Annalise Keating, dovevate chiamare!

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Bentornati: buon anno nuovo amici del fastest man alive!

The Flash è tornato col botto. Sarà che avevo appena finito di guardare l’ultimo film della saga di Harry Potter (e quindi predisposta alla commozione), sarà stata la bravura degli sceneggiatori, fatto sta che l’episodio mi ha coinvolta moltissimo, facendomi salire lacrime di rabbia che ho represso a stento.

Al centro della narrazione è stato posto il divario esistente fra un Barry Allen, scienziato forense, e un Barry Allen, The Flash. Tale dicotomia è stata esplicitata nei minuti finali quando il severissimo giudice (un po’ troppo severo se vogliamo paragonare il delitto di DeVoe con quelli di altri criminali rinchiusi ad Iron Heighs) ha condannato Barry usando parole durissime mentre, in contemporanea, il capitano Sigh acclamava The Flash e gli dedicava una targa al valore.

Grazie ad una narrazione coinvolgente e dialoghi precisi (per lo meno nella storyline principale, quella secondaria è stata ben altro), gli sceneggiatori sono stati in grado di traghettarci lungo il brevissimo processo di Barry trasmettendoci appieno i sentimenti di Barry e la disperazione di Iris e Joe di fronte ad una storia che sembra ripetersi (persino nell’epilogo, nella stessa cella del padre).

Eppure non posso esimermi dal criticare aspramente la difesa decisamente blanda scritta per Cécile. La prima cosa che ho pensato quando ho terminato la puntata è stata: ok, hanno trovato il DNA di Barry sotto le unghie di DeVoe, ma hanno controllato se addosso all’imputato ci fossero segni di lotta? Di solito se una vittima si difende al punto da avere dna dell’aggressore sotto le unghie, sul corpo dell’aggressore ci sono graffi o abrasioni. Cécile sembra non averci pensato. Così come il fatto che a casa dei West ci fossero almeno 6/7 persone che brindavano al Natale e Barry ha lasciato quella casa non in tempo per avere un alterco con DeVoe, lottarci e poi ucciderlo: Iris, in quanto sua moglie, non avrebbe potuto testimoniare ma tutti gli altri sì. Insomma, il processo – non solo da parte di DeVoe ma anche da parte degli autori ah ah ah – è stato scritto sfidando la logica del “Cécile principessa del foro” con lo scopo di arrivare alla condanna di Barry.

Degna di aspre critiche è anche la scrittura della storyline secondaria, il cui unico scopo è stato quello di portare al discorso finale di Sigh. Capisco l’esigenza di giungere allo scopo ma speravo che il pressapochismo lo avessimo lasciato alla scorsa stagione. In alcuni momenti mi ha addirittura strappato una risata da quanto fosse ridicola.

Insomma, questa prima puntata della seconda parte della stagione si è presentata benissimo sotto il profilo della narrazione, portando nuove interessanti possibilità per il futuro: ora che Barry è chiuso in carcere, il Team Flash è costretto a tornare a quei 72 giorni in cui The Flash non c’era, con la differenza che ora non abbiamo nemmeno Wally. Saranno costretti, speriamo, a dare più spazio all’Enlogated Man (Ralph ha avuto un ruolo marginale ma cruciale nella puntata) e a Vibe e Killer Frost, la quale dovrebbe essere in grado di apparire a comando ed invece siamo ancora fermi a: “Compare solo quando sono spaventata o arrabbiata”.

Sceneggiatori, vi prego, date una crescita a Caitlin! Sviluppate Killer Frost! Rendetela utile!

MOMENTI TOP

  1. La Testimonianza di Marliza DeVoe: scritta e recitata così bene che avrei voluto entrare nello schermo del pc per farle ridiventare ricci i capelli a suon di schiaffi.
  2. Barry Allen praticamente perfetto per l’intera puntata: dignitoso nella sconfitta in battaglia ma fiducioso che alla fine vincerà la guerra.
  3. Joe West, padre meraviglioso, e Ralph Dibny. Il dialogo fra i due sulla porta di casa DeVoe, per quanto prevedibile, mi è piaciuto molto, soprattutto perché lo hanno scritto in maniera coerente ai due personaggi: Ralph non è diventato serio e saggio da un momento all’altro, ha mantenuto il tono lieve di autocommiserazione nel ricordare a Joe gli errori commessi da lui in passato.
  4. Il parallelo fra le due coppie: Iris e Marliza non sono solo le mogli di Clifford e Barry ma sono le loro partner. The Mechanic ha provato a infrangere quel rapporto di fiducia e partnership, non riuscendoci del tutto.

IL GRANDE FLOP

Ridateci Neil Sandilands (sì, lo so che non si può per esigenze di copione)! Questo Ken Malibu non si può vedere.

Cosa vi è parso del ritorno di The Flash? Quali speranze avete per il futuro? Quali pensate siano gli scopi di The Thinker e The Mechanic?

Grazie di aver letto la recensione.

Prima di salutarvi, vi ricordo le bellissime pagine dedicate al velocista scarlatto. Non dimenticate di passare da loro e mettere il mi piace.

Arrow e The Flash

The Flash Italian Fans

There’s no Flash without Iris West

You make me emotional, Grant Gustin

 

Blindspot | Finché la barca va… lasciala andare!

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Addicted, lo ammetto, questo episodio di Blindspot mi ha lasciata praticamente BASITA: Kurt che ha fatto il cane bastonato per tutto il tempo, Jane la finta arrabbiata che tanto non ci credeva nemmeno lei, e Roman che passa da “tipo che ci prova” a “guardia del corpo” a “uomo che fa cose” in 90 minuti (per noi) ma in realtà in un giorno (per la serie).

Eccomi.

Beh insomma, che cosa vi devo dire? Inizierei dai FLOP 3:

1. BASTA (ma proprio BASTA) con questa cosa che tutti (ma proprio TUTTI) voglio sganciare testate nucleari sull’America. È l’FBI, l’abbiamo capito, ma c’avrà anche altre trilioni di attività illecite da smantellare/smascherare ecc. ecc? E poi dai, ma un minimo di quel che ci vuole: ti pare che Kurt riesce a mettere il paracadute, buttarsi dall’aereo, arrivare al corpo di una morta (che in teoria dovrebbe scendere, appunto, a peso morto?) e ovviamente inserire il codice di sblocco?!?

2. Weller piangina per tutta la puntata: ma non ti si può proprio vedere con la coda tra le gambe! Che poi diciamocelo cosa aveva di tanto grave da nascondere?!? Va bene, ha “ucciso” (ci arriviamo) la figlia di Jane, ma, l’ha fatto apposta? No. Ha fatto di tutto per proteggerla? Sì. E’ attanagliato dai sensi di colpa? Sì. Jane teneva a questa figlia? Ma PER CORTESIA. Passi pure che non si ricordi di lei, anzi no, non passa: ricordiamoci che Remi ha deciso di cancellare la propria memoria consapevolmente, cosa potrà mai essergliene fregato della figlia?!?

Quindi diciamocelo: ok, Weller non ti ha detto la verità, ma addirittura prendi e te ne vai di casa? Mi sembra un filino esagerato. Sei sconvolta e va bene, ma mi sembra tutto TROPPO PATETICO, per una cosa che è davvero niente. Ma di che stiamo parlando?!? Una figlia comparsa dal nulla, morta-non morta, che dovrebbero proprio spiegarmi come può un agente dell’FBI confondere una non morta per una morta. Insomma lo confesso, per me tutta questa storia per ora è un grandissimo MAH, non mi convince.

3. Tasha che manipola Reade e che poi si dichiara CIA nel profondo. Ora, finché non lo vedo non posso davvero credere a Tasha che sceglie la CIA a Reade, proprio adesso che ha capito di essere innamorata di lui. Comunque qua lo dico e qua lo nego, come mi piacerebbe vedere Tasha con il suo capo nella CIA… ebbene li shippo. E onestamente non vedo l’ora di scoprire cosa la CIA abbia da nascondere e che magicamente si trova nei tattoo di Jane!

BONUS FLOP: Ma Rich.com che fine ha fatto? Amici autori, quando una cosa funziona bisogna sfruttarla, possibilmente migliorandola… qua non vedo né l’una né l’altra cosa.

Volendo trovare qualcosa di positivo… dico che alla fine la storia più interessante è quella che lega Roman all’uomo che l’FBI vuole incastrare, o meglio, che Roman stesso vuole legare all’FBI attraverso i tattoo per arrivare chissà dove. Posso anche dire quanto Luke sia assolutamente meraviglioso?!? Lo adoro. E quando combatte… TANTA ROBA.

Una puntata insomma di transizione, poco elettrizzante e molto riciclata a mio avviso, speriamo in quella di questa notte di cui vi lascio il promo:

 

 

 

Riverdale 2×10 – Un Cooper che va, un Cooper che viene

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Carissimi addicted: “Riverdale” è tornato!

Ho sentito un vuoto allo stomaco per la mancanza del mio guilty pleasure preferito (grazie a Dio settimana scorso è ricominciato “The Magicians”, altrimenti la mia vita sarebbe stata triste e senza senso) ma ora ci aspetta la seconda parte di stagione, con la consapevolezza che fino a marzo riceverò la mia puntuale dose di trash.

Abbandonato temporaneamente il capitolo Black Hood (che sicuramente avrà ancora molto da raccontare), la trama si sposta su questioni più politiche ed economiche, grazie ai per niente inquietanti progetti della famiglia Lodge. Mi sembra palese che il piano di acquisizione totale di Riverdale non sia un puro atto di bontà per salvare le attività commerciali storiche o migliorare le possibilità di istruzione dei ragazzi del South Side, e non mi preoccupano l’aria da Padrino di Hiram o il contouring così perfettamente innaturale di Hermione, quanto più il coinvolgimento di Veronica. La piccola Ronnie sicuramente non è una santa, e la storia di Nick Saint Claire ce l’ha ricordato ampiamente, ma davvero si farebbe invischiare in qualcosa di palesemente illegale? Nella coppia (con Archie) è sicuramente quella sveglia, ma nemmeno lei brilla per acume, quindi i genitori avrebbero tranquillamente potuto rigirarla come un calzino, ma… c’è quest’ombra di dubbio che non riesco a dipanare. Uscite le vostre teorie, non siate timidi!

Archie che fa il doppio gioco è credibile come Archie che si aggira per le strade di Riverdale con una pistola per combattere il crimine. Il nostro eroe è talmente navigato che non si pone nessun tipo di domanda quando viene fermato in mezzo alla strada da un agente dell’ FBI, e accetta di scavare nel marcio della famiglia Lodge dopo tipo due secondi con la sola parola di un perfetto estraneo che né Fred né Veronica subiranno conseguenze. #credici

Per quanto riguarda Jughead, invece, mi è sfuggito il momento in cui è diventato un Serpent fondamentalista. Juggy è sempre stato un outcast, un reietto nella società perbenista del North Side, per cui (vuoi anche grazie all’aver ereditato in partenza una posizione di spicco per via del padre), ha fatto meno fatica a inserirsi tra i South Side Serpents e a riconoscerli come una famiglia; da qui si è stretto forte alla sua giacca di pelle e ha fatto di tutto per assicurarsi il bene della sua “nuova” famiglia. Motivo per cui non mi ha sorpreso il fatto che volesse a tutti i costi proteggere la forte identità di Serpents, ma più che altro quanto non capisse che, sfruttata al meglio, quella di trasferirsi al Riverdale High sarebbe stata un’opportunità più unica che rara per i suoi compagni (come ha fatto notare Toni). Il discorso di FP è perfettamente sensato: per il bene del gruppo si possono e si devono fare dei sacrifici, per quanto possano sembrare umilianti o degradanti; non è l’abito che indossi a cambiare ciò che sei. Ghettizzare i ragazzi del South Side come ha fatto il preside è stato eccessivo e sono contenta che alla fine Jughead abbia deciso di non reagire alle provocazioni e di trovare un sotterfugio per continuare a mantenere viva la loro identità senza mettere a rischio la permanenza nella scuola.

Gli altri grandi protagonisti sono stati i Cooper. L’arrivo del figlio perduto era stato annunciato ancora prima dell’inizio della seconda stagione, scatenando in tutti in me la reazione di puro panico ed estasi incontrollata “OMG il figlio segreto di Alice e FP!!!! Finalmente staranno di nuovo insieme!!!!”; capirete quindi che ho subito interpretato del tutto arbitrariamente il malumore di Hal come un lampante segno che non voleva ritrovare Charles perché non era sua prole. Fantasia dilagante a parte, non mi è piaciuto il modo in cui questo fratello sia stato portato in scena, ovvero come sostituto palliativo per l’assenza di Polly: francamente speravo che questa ricerca non avrebbe avuto un pretesto così poco consistente e speravo che il tutto sarebbe partito da Alice e non da Betty. Ora però Charles, o meglio, Chic è tra noi e promette di essere meravigliosamente inquietante, quindi si adatterà benissimo alla famiglia Cooper. Saranno stati gli anni passati nel sistema di adozioni senza mai avere una vera famiglia o le attività a cui si è piegato pur di sopravvivere una volta fuori da tale ambiente, ma Chic appare già solo al primo sguardo estremamente tormentato e per nulla ben disposto nei confronti dei suoi ritrovati genitori: capisco il rifiutarsi di andare a cercarli come istintiva reazione al loro abbandono, ma lo sguardo che ha rivolto a Hal mentre veniva medicato mi ha fatto venire i brividi. Probabilmente il lato oscuro è una caratteristica genetica per i Cooper.

E ora, invece della classica TOP3, vorrei proporvi una veloce carrellata dei momenti migliori della puntata, solo perché siamo appena tornati e limitarmi a tre sarebbe come strapparmi un pezzo di cuore:
  • Per la serie forse non sono troppo attenta, Penelope Blossom che si reinventa prostituta d’alto bordo – francamente non avevo capito che l’incontro hot sul divano della scorsa puntata avrebbe richiesto un compenso. Adesso abbiamo la certezza che Cheryl non sia stata trovata sotto un cavolo e che quella tendenza al look da passeggiatrice non è proprio campata per aria.

  • La credibilità del piano dei Lodge che mi crolla davanti agli occhi quando dicono che Veronica sarà il centro del ciclone e che tutto dipenderà da lei, e questa grandissima responsabilità si rivela essere semplicemente l’organizzare un comitato di benvenuto, solleticando le fantasie lesbo di Toni con complimenti poco velati, e tenere sotto controllo gli scimmioni ribelli della squadra di football.

  • La squadra di football, Reggie in primis, che continua a girare a torso nudo senza una motivazione logica, ma non me la sento comunque di lamentarmi.

  • La ship tra Kevin e Fangs che è partita dopo nemmeno tre secondi, seguita subito dal dubbio amletico su che fine abbia fatto Joaquin…

  • Il ritorno di Polly: in primis, sono sempre io che sono poco sveglia o non avevano mai nominato prima che la “fattoria” era in realtà una setta? Grazie a Dio però ha posto fine alla gestazione più lunga della storia. D’altra parte Betty con i riflessi di un bradipo che ci impiega cinque minuti buoni a capire che Polly non ha più il pancione. Il top sono stati senza dubbio i nomi scelti per sti poveri gemelli, Juniper e Dagwood, che già avrebbero avuto probabilmente una vita difficile anche senza l’accanimento di una madre inclemente; Betty, che fino a dieci minuti prima usciva con JUGHEAD, fratello di JELLYBEAN, mostra ovviamente la sua faccia più scandalizzata.

Potrei aver dimenticato qualcosa ma è dovuto sicuramente al troppo entusiasmo, siate clementi.

Vi lascio con il promo della 2×11 che ci preannuncia uno scontro tutto testosterone tra Archie e Hiram che porterà sicuramente vanto alla categoria dei DILF di questo show. Passate a lasciare un like alle nostre pagine amiche e ricordatevi che, oltre al vostro parere sulla puntata, potete usare i commenti per scrivere le vostre proposte per cambiare nome ai gemelli del destino: le idee migliori verranno raccolte nel libro “1001 modi per evitare che tuo figlio giochi a freccette con la tua foto”.

COLE SPROUSE ADDICTED

LILI REINHART ITALIA

 


Arrow 6×10 – Il nemico del mio nemico…

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Ritorna finalmente Arrow con una nuova puntata dopo lo hiatus natalizio.
Ci eravamo lasciati con un Team Arrow smembrato, mille cattivi che se la ridevano sotto i baffi dopo aver fatto fessi tutti e una situazione molto tesa.
Come è solito da qualche stagione a questa parte, verso il mid-season finale i personaggi impazziscono dato che gli autori li stravolgono facendoci aspettare fino alle ultime puntate della stagione prima di farli ritornare alla ragione.
Ora, io capisco che ci voglia il dramma e capisco anche alcune scelte prese dai nostri personaggi. Capisco che la disparità tra i nuovi membri e i veterani si facesse sentire, ma non capisco proprio perché gli autori abbiano fatto fare quelle cose a Renee. Solo questione di dramma? Perché non sapevano come far tornare Roy (Colton Haynes) nello show (chi altro non vede l’ora di rivederlo??? Perché sicuramente era uno dei miei personaggi preferiti e la ship è vivaaa)? Qualunque sia la ragione, trovo incredibile che Renee si metta d’accordo con l’FBI senza neanche battere ciglio, dopo che comunque era stato Oliver a fargli riavere Zoe. So che l’FBI ha delle prove contro di lui, ma hai come amici due mega hacker informatici e venti vigilanti che possono far sparire tutto quello che vuoi e non ti viene in mente di dire tutto a loro? Incomprensibile!

Comunque, dopo aver fatto questo sproloquio perché mi brucia ancora molto, parliamo della puntata.
Diciamo che non è stata delle migliori ma neanche una delle peggiori.
In questa decima puntata, seguiamo le vicende del nostro Team Arrow separato. Oliver per necessità si allea con il cugino di Helena Bertinelli, ma purtroppo la faccenda non va a buon fine. I cattivi continuano a rubare cose e a uccidere gente senza che nessuno sappia il vero obbiettivo (a parte la solita manfrina: “Oliver Queen vedrai la tua città bruciare e ti rovinerò la vita bla bla bla”). Più che un gruppo di cattivi, sembra un po’ un asilo con battutine sarcastiche da poretti e comportamenti melodrammatici (Sì, Black Siren sto guardando te).
In questa puntata il Team Arrow finalmente scopre che sono stati ripresi e registrati da mesi e che, probabilmente, tutte queste registrazioni sono state mandate all’FBI (complimenti a chi l’aveva ipotizzato già da mesi, good job!). Alla fin fine, quindi, sono tutti compromessi e vedremo come Cayden James userà a suo favore queste informazioni. Per adesso sembra che Cayden avesse potuto uccidere/incarcerare Oliver e distruggere completamente la città, ma come è solito dei cattivi di Arrow, aspettano sempre le ultime tre puntate per cercare di uccidere i protagonisti.
Alla fine dell’episodio, Oliver ritrova un po’ il suo sé sviluppato in questa stagione e cerca di rimettere a posto la situazione senza, però, ottenere grandi risultati. Sicuramente, sappiamo che nella prossima puntata Cayden e la sua allegra combricola metterà a ferro e fuoco la città quindi rivedremo i due Team (con Diggle che torna in azione YEEEEAH) lavorare per uno scopo comune.

Penso che la suspence sia un elemento importante dello show, ma non puoi portare avanti un cattivo (o mille) fin dalle prime puntate ed arrivare a più di metà stagione senza dare neanche un indizio sul suo obbiettivo o niente sulla sua backstory. Penso che a questo punto avremmo già dovuto sapere qualcosa in più su Cayden. Poi, mettere così tanti cattivi in una sola stagione, è un elemento disturbante perché non riesci a concentrarti su tutti e alla fine non hai un cattivo di quelli fatti bene come sono stati Deathstroke (vi ricordate i bei tempi?) o l’anno scorso Chase. Cayden James secondo me è un bel personaggio, ma non è stato ancora esplorato bene e mi dispiace perché poteva veramente essere un terreno fertile.
Il lavoro che avevano fatto sui personaggi del Team Arrow all’inizio della stagione era stato superbo. Gli autori sono riusciti a caratterizzarli tutti, dando nuove sfumature anche ai nostri tre dell’Original Team Arrow. Spero che in questa seconda metà di stagione non perdano la retta via e inizino ad incasinare tutto.
Il mio unico augurio è che i personaggi ritrovino la ragione e ricomincino a comportarsi come sé stessi.

TOP 3:

1. Lance & Thea. Adoro il loro rapporto padre/figlia, mi piace da morire che Lance sia il punto di riferimento dei fratelli Queen. Se lo merita.


2. Dinah continua ad essere una donna super badass e il mio amore per lei è sconfinato.


3. Non potevo non mettere questa scena tenerella tra i miei Olicity.

WORST 2:

1. Ragazzi, avete sbagliato tutti. Ognuno ha delle colpe e mi sembra veramente ipocrita da parte di tutti fare ste scene. Mi rovina i personaggi.

2. Troppi, troppi, cattivi.

Va beh ragazzi, ci si vede prossima settimana sperando che la situazione migliori!

This is us | Tutta colpa del gatto!

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Carissimi! Una puntata, questa, a mio avviso un po’ sottotono, anche se ci sono delle cose che ho apprezzato.

Confesso di aver adorato le interazioni tra Kate e Madison:

1. Madison è stata davvero carinissima a organizzare per Kate la giornata al negozio, anzi, direi alla boutique degli abiti da sposa.

2. Sono molto felice che Madison abbia confermato quello che pensavo di lei: una persona sola in cerca di qualcuno (non necessariamente un uomo) con cui legare. In un gruppo di “dipendenti” lei sembrava la svampita, quella in cerca di visibilità, e invece anche lei ha delle dipendenze, anche lei è fragile, e le sedute le servono proprio per sentirsi parte di un qualcosa. Peccato che Kate pensasse che i suoi problemi non fossero problemi, MAI FERMARSI ALL’APPARENZA e MAI, MAI PENSARE CHE I PROPRI PROBLEMI SIANO PIÙ GRAVI E/O IMPORTANTI DI QUELLI DEGLI ALTRI. Vi ricordate il discorso che Randall ha fatto nella scorsa puntata? Ecco, ognuno vede le cose dal proprio punto di vista, ma bisogna cercare di mettere le lenti degli altri per capire cosa provano davvero.

3. Tenerissima la scena di Mad e Kate sul divano accoccolate, una bella amicizia è nata e credo che farà davvero bene a entrambe, in fondo finora non abbiamo MAI visto Kate insieme a un’altra donna, se non Rebecca, con la quale peraltro ha sempre avuto un rapporto conflittuale.

Il discorso di Kate devo dire che mi ha lasciata un po’ così, ognuno di noi ha delle voci dentro che dicono cose, credo però a volte nascondersi dietro a queste voci sia la cosa più semplice da fare, bisogna affrontarle e buttarle all’esterno. Non ho detto che sia facile, però è l’unico modo per uscirne.

In mezzo a tutto questo abbiamo visto come il Kevin adolescente in qualche modo fosse in sintonia con Miguel, al contrario del Kevin adulto che si comporta da spina nel fianco e in questa puntata in parte ci hanno fatto vedere perché: non ci voleva di certo una scienziato per capire che Miguel semplicemente non è Jack, anzi peggio, è colui che si è preso sua madre, che l’ha portata via da Jack.

Cosa che peraltro non è assolutamente vera visto quello che NOI spettatori abbiamo SEMPRE visto dagli occhi di Rebecca, ma noi non siamo Kevin, e anche lui non ha mai visto davvero sua madre, per fortuna che in questa puntata lei gliene parli apertamente; d’altronde non è neanche possibile che una rimanga sola per sempre, e i propri figli non possono di certo volere questo per un genitore rimasto solo. Quindi Kev, spero davvero che tu smetta di comportati da caxxone avariato con Miguel perché non se lo merita, e se non capisci che tiene davvero a tua madre, che lei è serena e che queste sono le uniche cose che contano, beh allora sei proprio un CRETINO.

Nella storia di Randall ammetto che:

1. Ha la mia eterna invidia per potersene stare a casa mesi e mesi a non fare una mazza, e a rincorrere fantasie autoinventate sulla base di una poesia di William.

2. Ancora più invidia quando dalla mattina alla sera decide semplicemente di comprarsi un palazzo, fatiscente, ma pur sempre un palazzo. SPOSAMI.

3. Avrei preso ancora una volta a badilate nei denti Beth perché, ok, Randall vive nel suo mondo ma potresti anche dirgli le cose in altro modo, visto che poi lui capisce che tu sei la sua “Lady” e decide di realizzare i tuoi sogni. Sentiti una caccola per cortesia.

BONUS: la presenza di William è sempre un colpo all’anima, che uomo saggio, che ESSERE UMANO.

I ragazzi hanno preso un abito. Dal promo ci vogliono far forse intendere che il prossimo episodio sarà l’EPISODIO, ovvero quei 42 minuti che tutti attendono per scoprire in che modo Jack sia morto e anche in questa puntata ci hanno dato un indizio legato al fuoco: in casa un fusibile non funziona bene e in più al centro commerciale avrebbero dovuto comprare le batterie per il sistema di rilevazione fumo, visto l’ultima inquadratura quindi… GIÀ PIANGO.

Speriamo che Kevin non indossi quel vestito al funerale del padre… anche se…

Vi lascio proprio con il promo del prossimo episodio, intitolato “That’ll Be The Day

Infine, come sempre, per restare aggiornati su tutte le news sulla serie e sui suoi protagonisti non dimenticatevi di passare da questa meravigliosa pagina:

This is us – Italia

How To Get Away With Murder 4×09 – L’insostenibile complicatezza dell’essere

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HTGAWM torna dalla pausa invernale con un episodio strettamente legato al winter finale. In realtà potrebbero tranquillamente essere due parti di un unico doppio episodio che avrebbe funzionato benissimo come chiusura della prima metà di stagione (per carità, il cliffhanger con cui ci ha lasciato lo show prima delle vacanze di Natale è più che degno, ma anche questo non scherza!), soprattutto calcolando che “Live. Live. Live” non ci allineava esattamente con quanto visto nei flashforward sparsi per gli episodi precedenti ma ci dava solo un intenso preambolo portato poi a chiusura da questo “He’s Dead” (perfino i due titoli sembrano voler creare un parallelo). Quello che vediamo in questa mid-season premiere, però, complica il quadro più di quanto avremmo potuto immaginare basandoci solo sui flashforward e su dove l’ottavo episodio ci aveva lasciati: non solo la drammaticità delle vicende raggiunge picchi considerevoli, ma scoperte in background e intromissioni inaspettate creano un presente tutt’altro che semplice da sbrogliare per i nostri protagonisti… senza contare quel paio di plot twist (quello sul finire dell’episodio in particolare) che ci stanno sempre e che qui lasciano davvero a bocca spalancata.

Penso che questo sia tutto sommato un buon episodio ma avrebbe comunque funzionato meglio come doppio episodio insieme al precedente anche perché, al di là di collegare i vari pezzi del puzzle, procede veramente poco con la trama. Perlopiù i personaggi si riprendono da quanto accaduto sul finale della prima metà di stagione e li vediamo posizionarsi là dove i flashforward ce li avevano mostrati. C’è maggior approfondimento, sì, qualche scossone qua e là che dai soli flashforward non ci saremmo aspettati (come dicevo poco più su) e il complicarsi di alcuni aspetti presenta sicuramente il focus principale di ciò che terrà alta la tensione dei nostri protagonisti da qui a fine stagione, ma prevalentemente l’episodio gravita sul posto imbevendosi della negatività della situazione e risputando tutti nel mezzo del casino che loro stessi hanno creato (il laconico “You just never learn” che Annalise indirizza ai suoi ex-tirocinanti la dice lunga in proposito).

Annalise è senz’altro (e come sempre) uno dei personaggi che emerge con maggiore incisività in questo episodio, con l’accoratezza con cui prima salva il bambino e poi segue lui e Laurel in ospedale, la determinazione con cui cerca poi di frapporsi tra il piccolo e Jorge Castillo (sempre in veste di super-villain perché così dicono tutti, ma ce lo facciamo andare bene e aspettiamo con fiducia che ci siano maggiori approfondimenti in proposito, come la voicemail di Wes sul finale farebbe presagire) e il chiaro dolore nel rendersi conto che per questo round è l’altro ad aver vinto: questo è un perfetto esempio di quello che ho sostenuto varie volte in passato riguardo questo show, ovvero che arrivati a un certo punto conoscere sempre più approfonditamente questi personaggi aiuterà la storia a reggersi da sola, perché ci interessa di loro e dei loro drammi personali e non solo perché shit happens tutt’intorno a loro. Non ci serve un flashback o un riferimento accennato al passato di Annalise per capire come questa storia la stia tormentando internamente e perché sia così presa dalla questione (al punto da minacciare Isaac di denunciarlo per condotta non professionale al fine di fargli fare quello che dice lei e trattarlo poi a pesci in faccia senza tante cerimonie: urrà per “You’re a terrible doctor!”, era ora che qualcuno glielo dicesse, ma ouch per “Tua figlia si è suicidata perché sei una palla al piede”…).

Per quanto riguarda gli altri, menzione d’onore anche alla recitazione dei ragazzi: Karla Souza, che avrò sentito urlare “Where’s my baby??” qualcosa come un trilione di volte ma che nonostante questo riesce e istillare la giusta dose di drammaticità nella scena senza farla risultare eccessivamente stantia, ma per quanto mi riguarda ancor più Aja Naomi King e Conrad Ricamora: ho adorato Michaela dall’inizio alla fine, pensare a quanto sia cresciuta (certo, non nel migliore dei modi magari, ma sempre di character development si tratta, in un certo qual modo), passando dall’essere la ragazza raggomitolata in un angolino dopo l’uccisione di Sam a questa giovane donna che sfida ogni rischio per aiutare la sua amica a ottenere vendetta e a riappacificarsi col mondo, divorata dallo shock e dal rimorso ma ancora abbastanza composta da formulare la strategia migliore per lei e Oliver per tenersi momentaneamente fuori dai guai, lacerata dalla preoccupazione per Asher e allo stesso tempo incapace di rimanere semplicemente al suo posto nell’apprendere della sorte di Laurel. A questo proposito, non posso che trovare ingiusto il modo in cui la tratta Connor fuori dall’ospedale: è vero che Michaela è stata la prima a conoscere il piano di Laurel e a cedere alla sua richiesta accettando di aiutarla, ma da lì a scaricarle addosso ogni responsabilità… per quanto capisca che l’astio sia potuto essere solo un guizzo momentaneo dovuto al fatto che la ragazza si era precipitata al capezzale di Laurel mollando senza troppi ripensamenti Oliver da solo alla C&G, non l’ho trovato comunque appropriato, specialmente ripensando al rapporto sempre molto stretto e di reciproca fiducia e rispetto tra Connor e Michaela.
Oliver, invece, è a mani basse uno dei personaggi migliori dell’episodio e forse dell’intero show, con un’umanità che è un po’ lo specchio di tutti noi spettatori di fronte alla spirale di negatività in cui tutti gli altri stanno invece affondando. Onestamente, per quanto uno possa provare a mettersi nei panni incasinati degli altri Keating 4, il suggerimento che Simon morto creava meno problemi anziché il sollievo per il fatto che un poveraccio innocente (per quanto oggettivamente insopportabile) sia vivo mi ha fatto accapponare la pelle. Umanamente parlando, il disgusto di Oliver è più che comprensibile e, come spesso accade, la voce della coscienza che il ragazzo rappresenta (tranne per quel piccolo inciampo, quando proprio lui ha suggerito di usare Simon come capro espiatorio) è anche il contrappeso di cui lo show ha disperatamente bisogno alla generale cupezza crescente che sta rendendo gli altri quasi completamente insensibili alle tragedie che li circondano.

 

Concludo con quello che è stato probabilmente uno dei twist migliori della stagione finora, ovvero il ritorno alla sera della morte di Wes e la scoperta, grazie a un messaggio vocale ritrovato nel cellulare di Dominic (la vittima a cui si riferisce il titolo, che non è quindi né il bambino di Laurel né Simon come il winter finale avrebbe potuto farci sospettare; una morte che, devo dare merito agli autori, avrebbe potuto provocarci solo una mera alzata di spalle se pochi minuti dopo non avessimo avuto proprio la rivelazione della voicemail), che la telefonata che il ragazzo fa dal taxi, presentandosi come Christophe e chiedendo aiuto, è diretta proprio al “braccio armato” di Mr. Castillo. Questo se ben sviluppato potrebbe rendere il contesto della sua uccisione decisamente più interessante di quanto le manovre finanziarie del padre di Laurel non fossero, quindi tengo le mie speranze alte e attendo con ansia ulteriori approfondimenti a riguardo.
Mi sfugge ancora, invece, dove potrebbe essere l’hard drive, considerando che non sembrava essere nelle mani del primo sospettato, Dominic, e che a quanto pare neanche Jorge c’è ancora arrivato (o, come dice Annalise, non avrebbe motivo per tenere il bambino “in ostaggio”). La prima cosa che mi viene in mente, senza starci troppo a ragionare, è uno dei poliziotti sulla scena del crimine (quello che ha proclamato almeno un paio di volte con supponenza quanto il coinvolgimento della Keating fosse abbastanza per far mangiare a tutti la foglia potrebbe essere un ulteriore indizio in questa direzione) magari pagato da Denvers per recuperare qualunque cosa di potenzialmente incriminante per il signor Castillo, di cui sappiamo essere o almeno essere stato alleato. Voi che ne dite?

Osservazioni a margine:

  • Frank è un cretino. Dai, torturi e ammazzi uno, gli freghi il telefono e prima di tornare al capezzale della tua ragazza nonché amica d’infanzia del tizio in questione non pensi neanche di ALMENO mettere il silenzioso?!?
  • Ulteriore prova di suddetta cretinaggine: “Come fate a dire che il bambino non è mio?”… erm, hello? La nostra Sam direbbe che a meno di non essere in Still Star Crossed (e in quanto prodotti legati dal nome di Shonda in qualche veste nulla è da escludere) la genetica non è proprio un’opinione…
  • Dopo una prima metà di stagione impegnato semplicemente a spuntare fuori dagli angoli bui per fare il grillo parlante, Nate si è ricordato di avere pettorali e addominali da paura che ci hanno degnato della loro gradita presenza in questo episodio. Il collega Shondaland dell’omino HBO ringrazia per essere stato riassunto.

Questo è quanto per questo complesso ritorno all’universo murderiano, voi che ne pensate degli sviluppi e delle nuove scoperte? E cosa vi aspettate per il seguito? Fatemi sapere la vostra qui sotto nei commenti, intanto vi lascio come sempre con il promo del prossimo episodio e vi ricordo, se non l’avete ancora fatto, di passare a mettere un bel like ai nostri amici di

How To Get Away With Murder Italia

per rimanere sempre aggiornati sullo show e i suoi interpreti.
Alla prossima!

Grey’s Anatomy 4×09 – L’inevitabile scontro con il PASSATO

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Ci siamo, dopo MESI di attesa la Shondona nazionale torna nelle nostre case e così Grey’s Anatomy sui nostri schermi, che dopo un winter finale a mio parere non proprio entusiasmante ci presenta invece un nuovo episodio niente male. Questi 40 minuti infatti pongono delle basi interessanti per il proseguo, ci presentano nuovi personaggi (Bethany Joy Lenz parlo di te) e ci permettono di iniziare a conoscere finalmente le nuove matricole.

L’episodio riprende essenzialmente le trame che avevamo lasciate aperte a Novembre e ci riporta esattamente all’incontro/scontro tra Jo e il suo ex marito, Paul. Questi due personaggi rappresentano a mio parere la storyline CARDINE della puntata, quella più emotiva e coinvolgente lasciando quasi in secondo piano tutta la questione della minaccia cibernetica che si ritrova a dover far da contorno.

Paul è un uomo veramente ORRENDO. Il modo in cui tenta di manipolare chiunque è sottile, mirato, preciso. Soprattutto nelle scene con Meredith emerge prepotentemente quanto PICCOLO sia davvero, una persona rivoltante che crede che la SUA PAROLA e le SUE AZIONI valgano più di quelle degli altri, che sia nel giusto, che sia IL BUONO di tutta la vicenda quando noi sappiamo bene non essere cosi.

E per quanto le due non siano sicuramente partite con il piede giusto e si siano trovate più volte, lavorativamente e non, a scontrarsi, ciò non toglie che la scena nella quale Meredith stringe a se Jo per darle conforto sia stata MERAVIGLIOSA e il rapporto, per quanto semplice, che esista tra le due sia qualcosa di bello.

Altra scena VERAMENTE significativa è anche quella della firma del divorzio, nella quale inizialmente Jo resta in silenzio, l’impatto che il ritorno dell’uomo ha avuto su di lei è ancora forte, ma nel momento in cui Paul SPUTA fuori un altra frase da “brava persona” totalmente a caso la donna non riesce più a controllarsi e per la prima volta RISPONDE a tono.

Un MOSTRO che non si merita assolutamente NULLA. Non sicuramente la bella fidanzata che porta al braccio e che, pur tentando di nasconderlo, si ritrova palesemente nella sua stessa situazione. Nel suo stesso INCUBO, un mondo fatto di paura, di violenza e di sofferenza. Shonda con questa storyline, ma in generale con tutta la storia di Jo è voluta andare a condannare la violenza sulle donne e a farlo in modo DECISO, come è giusto che sia. Perché Paul non è una BRAVA persona e Jenny non dovrebbe difenderlo o ignorare il suo comportamento, dovrebbe avere il coraggio di opporsi, di ribellarsi, di DENUNCIARLO e scappare da lui nonostante sia probabilmente la cosa più difficile al momento.

Jo con il suo discorso tenta di aprire gli occhi alla donna, di farle capire che l’uomo che ha al suo fianco è solo uno SCHIFOSO MANIPOLATORE VIOLENTO ma purtroppo, non si sa se per pressioni da parte di Paul o per una debolezza di Jenny, la cosa le si ritorce contro, con il ritorno e le non tanto minacce velate dell’uomo che portano nuovamente Jo sull’orlo della disperazione e delle lacrime.

A sostenerla però c’è il suo Alex, il ragazzo che (pestaggio a caso di DeLuca e quasi prigione a parte) tutte vorrebbero al proprio fianco in una situazione del genere. E qualsiasi cosa succederà lui sarà con lei, pronto ad affrontarla e a difenderla da un uomo che penso chiunque vorrebbe vedere morto. Cosa che PLOT TWIST, forse potrebbe succedere davvero.

Perché con la chiusura dell’episodio, il divorzio firmato e la sensazione che i problemi siano quanto meno stati rimandati al prossimo arco narrativo arriva anche un colpo di scena non da poco, con il ritorno di Paul all’ospedale in barella e un possibile investimento con fuga.

Ora so benissimo cosa vogliono farci pensare, Jo e Alex hanno risolto le cose nel modo peggiore e si son liberati di un passato fin troppo minaccioso. SHONDA, NON CI CASCA NESSUNO. Quanto sarebbe scontata una cosa simile? Meredith che urla pure “cosa avete fatto?” MA CI PRENDETE PER SCEMI? No perché pensare che siano stati Jo ed Alex corrisponde a pensare che ogni omicidio di ogni giallo sia stato effettivamente commesso dal maggiordomo. Io punto quindi tutto il mio denaro su Jenny, che tanto stupida non mi è sembrata e potrebbe, per via del discorso di Jo, aver deciso di tirarsi fuori da questa situazione con un bell’investimento (è sensato no?).

Detto questo, quella di Jo e Paul non è stata l’unica storyline della puntata e per quanto mi SCHIFI parlarne purtroppo una buona parte delle scene son state occupate da Maggie e Jackson.

NO, NO E NO. Io continuo a ripeterlo e continuerò a ripeterlo sempre. Non mi piacciono, non c’è chimica, NON HA SENSO. Davvero le scene in cui questi due sono insieme per me diventano praticamente inguardabili (eccetto quelle dove Jackson sta a petto nudo perché in quel caso, perdonate il commento ormonale, ma siamo state tutte un po’ Maggie). E il fatto che nessuno URLI allo schifo e il modo in cui Shonda continui a propinarci questa possibile coppia mi fa veramente paura.

Cosa che ho trovato molto interessante è stata invece la storyline riguardante la nuova matricola, Parker e le sue scene con la Bailey. Molto divertenti le sue pensate per riprendere il controllo dell’ospedale, molto simpatici gli scambi di battute e con una sorpresa sul finale e sul suo passato. Qua ci son tutti i presupposti per un gran bel personaggio, anche semplicemente per staccare da tutto il DRAMA che Shonda ha in serbo per noi. E poi insieme alla matricola occhialuta che è stata usata come sacca di sangue, e di cui non ho ancora imparato il nome, il reparto NUOVI ARRIVATI ha praticamente salvato la giornata, cosa potremmo chiedere di più?

 

 

TOP 3

  • Jo e la sua storyline che si porta con se un argomento delicato e assolutamente DA AFFRONTARE come la violenza sulle donne.
  • Le nuove matricole, che si son ancora viste poco, ma possono dare quella nuova ventata di freschezza di cui potremmo aver bisogno
  • Alex. Perché quest’uomo, quando non storpiato da Shonda per storyline fini a se stesse, è perfetto, non trovate?

Ma ora basta parlare o si fa veramente notte, voglio lasciare la parola a voi: come avete trovato questo ritorno? Quanto siete sconvolti dall’inquietante Mr.Schue di Glee? E soprattutto…CHI LO HA INVESTITO? Siamo per caso in un cross-over tra Grey’s Anatomy e How to Get Away with Murder? Fatemi sapere che ne pensate.

Io torno a lasciarvi con il consiglio di far un salto in queste splendide pagine:

E con il promo del prossimo, scoppiettante (spero non letteralmente) episodio:

Blindspot | Chuck Norris scansati, ci pensa Weller!

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Stanotte mi sono svegliata e in preda all’insonnia ho ovviamente deciso di guardarmi una puntata, e avendola trovata con i sub non ho potuto fare a meno di scegliere Blindspot. Devo dire che la puntata non mi ha dato sonnolenza, e già questa è una nota positiva, in effetti però è stata la FIERA DELL’ASSURDO, vediamo perché:

1. Weller che in 30 secondi si fa non so quanta strada, con una bomba in mano, la butta in una cella frigorifera che riesce persino a chiudere prima del botto e poi… NIENTE, perché né lui né Jane hanno il benché minimo graffio. Cioè ma… SERIAMENTE?!?! Non dico tanto, almeno prima diteci che Weller è l’erede di Usain Bolton così potete giustificare queste sue prodezze.

Nella prossima puntata me lo aspetto così:

Seriamente parlando (ma ero seria anche prima) mi chiedo come sia possibile che un esperto di bombe possa crearne una, metterla in una valigia che viene poi messa in una sorta di stiva e pensare di uccidere qualcuno se una cella frigorifera protegge dall’esplosione anche la stessa cucina in cui si trova: SEI UN ESPERTO O UN BUFFONE? Le uniche vittime probabilmente sarebbero state quei 3 poveracci nel van. 

2. Jane che, durante il suo periodo in fuga, si lascia andare alla passione con Clem… perché si sentiva sola/le mancava il lavoro in team, MA CHE  BRUTTA PERSONA! E non tanto per la scappatella, anche per quella insomma, MA PERCHÈ FA TANTO LA MORALE A KURT E POI LEI PURE HA I SUOI PECCATI. E allora di cosa stai parlando? Dacci un taglio e falla finita. E poi cosa devono sentire le mie orecchie? Che dice a Tasha che lo ama ancora… e poi si ritrova nella sua stanza d’albergo:

(C’avete fatto caso che Tina ha sempre una parola giusta per tutto?)

PS. Forse così adesso sono a un torto a testa? Fra poco mi sento male per la totale mancanza di fantasia degli autori.

3. Meg che per difendere i 3 immigrati consiglia loro di aspettare un avvocato…

Ok tesoro, lascia che te lo spieghi: sono in pericolo, qualcuno li ha incastrati, e in più c’è una bomba che sta per esplodere e loro sono gli unici ad aiutare a scoprire dove… ma come ti viene in mente di far perdere tempo alla Nazione? Cosa hai nel cervello, noccioline?!? Andiamo avanti. Ah ecco: se ti dicono di stare in un posto non è che se senti sparare esci e corri a cercare il tuo fidanzato agente dell’FBI, rischiando la tua e l’altrui vita. Ancora: cosa hai nel  cervello, noccioline?!? Tutto questo mi dice che Meg non me la racconta giusta…

BONUS: Avery prima è la figlia di Jane, poi è morta ma in realtà non è morta e adesso forse è stata pagata da Roman e non è nemmeno figlia di Jane?!? Ora, ma siamo sicuri che Jane abbia una figlia? E poi, Weller è chiaro che non possiamo più fidarci di te, in questa stagione ti stanno dipingendo come un demente: non solo non riconoscere un morto da un quasi morto, ma in più non sai nemmeno fare il tuo lavoro, se uno ti dice che è il figlio di… ma tu almeno prendile un capello per fare le analisi del DNA… LE BASI PROPRIO. E poi obiettivamente “Hai il suo fuoco dentro” non poteva essere una motivazione sufficiente per NESSUNO.

Ancora una volta la parte più interessante della puntata è la storyline che coinvolge Roman:

1. Blake è super hot e in più ha un temperamento chiaro e deciso: ha tenuto testa a Roman senza se e senza ma… si vede che è una donna abituata a stare in un certo ambiente e questo mi fa nascere il sospetto che non sia proprio all’oscuro delle attività del padre (come avevo immaginato all’inizio).

2. Roman è davvero un gran (bel) paraculo… a quel “I love you” detto così gli sarei saltata addosso anche io, probabilmente anche senza le tre fatidiche parole in effetti. Ma poi ve lo devo proprio dire, questa versione di Roman mi piace da impazzire, se non fosse matto lui quasi quasi ci crederei.

3. Victor, parliamo di Victor. Deve avere per forza avuto una storia o un debole per Blake, e deve essere un grandissimo stronzo di cui ancora non abbiamo visto tutto il potenziale, ma credo lo scopriremo presto e spero non si schianti al suolo come un pomodoro. Detto questo sfoggerò il mio solito acume intellettuale chiudendo con un “oh, raga, quanto è figo pure lui?!?”

DOMANDA RANDOM: giusto perché Meg non me la racconta giusta, non è che ha a che fare con Roman? Ormai non mi fido più di nessuno, soprattutto di gente arrivata dal nulla e che assume posizioni importanti (ok, essere la fidanzata di Reade non è una posizione importante ma almeno è già parte della combriccola).

BONUS PLUS: Zapata che invita Jane a stare da lei… se sapessi Tasha, se sapessi! Ebbene, la sbatteresti fuori casa a calci nel sedere. Non si merita niente. La mia povera Tasha che non solo si è beccata Reade e Meg in un’effusione amorosa ma è stata anche friendzonata nel giro di 3 secondi. PORACCIA.

Vi lascio con il promo del prossimo episodio, intitolato “Techonology Wizards” (potete spiegare agli autori che della figlia di Jane non frega niente a nessuno?!?):

 

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